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Napoli, al Bellini, continua il successo de “La grande magia” regia di Gabriele Russo

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foto di Ersilia Marano

Al Teatro Bellini di Napoli dal 15 ottobre al 2 novembre è in scena “La grande magia”, di Eduardo De Filippo con la regia di Gabriele Russo.

Lo spettacolo si apre con la voce di Eduardo De Filippo che ci offre una chiara dichiarazione circa la poetica sottesa alla sua commedia, scritta nel 1948. La definisce una frattura nel corpus delle sue opere, precisamente “una frattura, non definitiva ma significativa, per quello che poteva essere un nuovo teatro, un nuovo linguaggio.”

“La grande magia” è un’opera teatrale di Eduardo De Filippo che affronta temi profondamente filosofici e psicologici, e mostra chiare influenze pirandelliane. Come Pirandello, De Filippo indaga il contrasto fra vita, realtà ed illusione, evidenziando la fragilità dell’esperienza umana di fronte alla verità e ai vizi.

Nella commedia de “La grande magia”, l’illusione diventa la risposta al bisogno umano di controllare l’imprevedibilità della vita, offrendo una via di fuga da una realtà spesso difficile da accettare. L’essere umano, infatti, cerca di riscrivere il proprio “copione” esistenziale, come se la vita fosse uno spettacolo teatrale in cui è possibile modificare il finale o saltare le pagine scomode.

Questo rifugiarsi nell’illusione è il tentativo di attribuire un significato più accettabile alle difficoltà e alle sofferenze della vita, un meccanismo di difesa che protegge dalla crudeltà e dal dolore della verità.

Otto Marvuglia, interpretato da Michele Di Mauro, incarna perfettamente questo tema. Egli è un mago illusionista di scarsa fortuna, costretto ad esibirsi in contesti squallidi come caserme o alberghi, il che rappresenta la distanza tra l’aspirazione e la realtà frustante della vita.

La sua stessa esistenza è una metafora dell’illusione: un uomo che per mestiere inganna il pubblico, cercando di nascondere le proprie sconfitte dietro i trucchi del mestiere. La sua insoddisfazione è palese, così come quella della moglie Mariannina, interpretata da Sabrina Scuccimarra, che mal tollera la vita che conducono e lo accompagna sul palco con lo pseudonimo di Zaira.

La figura di Marvuglia è centrale nel rappresentare l’ambiguità e l’illusione: non si limita a fare magie per il pubblico, ma alimenta anche le illusioni personali di chi come Calogero Di Spelta, interpretato da Natalino Balasso, si aggrappa alla finzione pur di non affrontare la cruda realtà. In questo modo la pièce diventa una riflessione profonda su quanto l’illusione, più che essere una semplice fuga, sia una necessità radicata nell’uomo, che desidera rendere la vita meno dolorosa e più comprensibile.

Il cuore de “La grande magia” ruota attorno al dilemma esistenziale di Calogero Di Spelta, che riflette il bisogno umano di rifugiarsi nell’illusione di evitare una realtà insopportabile. Quando il mago Otto Marvuglia (complice dell’amante Mariano D’Albino) esegue il suo trucco, facendo “sparire” Marta, la moglie di Calogero, interpretata da Alice Spisa, si crea un intreccio che va oltre la semplice magia: diventa una questione psicologica e filosofica sul rapporto tra verità ed autoinganno.

Calogero, infatti, desidera subito il ritorno della moglie, mettendo in difficoltà Marvuglia, il quale per salvarsi dall’imbarazzo crea l’espediente della scatola magica, in cui afferma che la moglie si trovi trasposta. Ma il ritorno di Marta non dipende dalla magia del mago: sta tutto nella mente di Calogero, che deve scegliere di credere o meno all’illusione. La sua decisione di non aprire mai la scatola diventa una potente metafora della condizione umana: egli preferisce vivere nell’incertezza e nel dubbio piuttosto che affrontare una realtà che già conosce, quella dell’infedeltà della moglie. La scatola chiusa rappresenta l’involucro sicuro delle illusioni che ci creiamo per non soffrire, per non vedere la verità che ci potrebbe devastare, sino alla follia.

Il vero illusionista, quindi, non è Otto Marvuglia, ma Calogero stesso, che perpetua l’inganno dentro di sé per proteggersi dalla sofferenza della verità. Egli sceglie consapevolmente di non vedere ciò che è evidente, la moglie fuggita con l’amante e preferisce cullarsi nell’illusione che Marta sia ancora dentro la scatola. In questa indecisione prolungata, tra il desiderio di conoscere la verità ed il terrore di scoprirla, Calogero riflette un tratto umano universale: la tendenza ad evitare ciò che ferisce, anche se a lungo andare questo porta ad un’esistenza vuota e priva di significato.

Quando Marta infine ritorna, cambiata ed invecchiata, egli non la riconosce più, perché ha ormai interiorizzato l’illusione. Nella sua mente, la vera Marta non è quella reale, ma quella che immagina essere imprigionata nella scatola magica. Questo rifiuto della realtà mostra quanto profondo possa essere l’autoinganno: per Calogero, è più accettabile continuare a vivere con una versione illusoria di Marta, pur di non confrontarsi con il tradimento e la sofferenza. Aprire la scatola significherebbe spezzare l’incantesimo, risvegliarsi dall’illusione ed affrontare la cruda verità, ma egli sceglie di non farlo, dimostrando quanto l’essere umano preferisca spesso vivere nel “giuoco” delle illusioni, pur di non affrontare il dolore della realtà, e allo stesso tempo sottolinea la fragilità umana di fronte alle ferite profonde dell’anima.

La nostra illusione, quindi, crea il mondo e ciò che sembra una parete o un muro invalicabile può divenire una piccola staccionata al di là della quale c’è il mare.

Le scenografie di Roberto Crea e l’illuminazione di Pasquale Mari costruiscono tre ambientazioni simbolicamente dense, con forti contrasti di luce e spazio: dal giardino rigoglioso e freddo dell’hotel, all’interno di Marvuglia, accogliente e carico di oggetti, fino all’astratto e spoglio appartamento di Calogero, che rappresenta un luogo mentale più che fisico.

Questo viaggio scenografico, che si sposta dal fuori al dentro, riflette anche l’evoluzione interiore dei personaggi, soprattutto di Calogero Di Spelta, che si immerge sempre più nelle sue allucinazioni e visioni distorte. L’atmosfera onirica e surreale viene ulteriormente potenziata dalla colonna sonora creata da Antonio Della Ragione. I suoni dissonanti, gli echi e le distorsioni acustiche costruiscono un fondale sonoro che accompagna lo spettatore in dall’inizio, creando una tensione continua ed un senso di disorientamento che si sposa perfettamente con la poetica dell’assurdo. È evidente una forte sinergia tra l’aspetto visivo e quello sonoro, capaci insieme di trascinare il pubblico in un’esperienza sensoriale e psicologica profonda, dove lo spazio fisico diventa progressivamente il riflesso di uno spazio mentale intriso di follia e magia.

L’equilibrata regia di Gabriele Russo alterna momenti naturalistici a scene oniriche, creando un gioco scenico fluido e ricco di tensione. I tableaux, con luci forti e suoni inquietanti, rafforzano l’atmosfera sospesa tra realtà e follia.

Di Mauro si distingue per la naturalezza, integrando con disinvoltura il dialetto nei momenti più intimi, mentre Balasso porta in scena un Di Spelta che scivola con convinzione dalla razionalità alla follia, mantenendo sempre un tocco di umanità. La sinergia tra tutti gli elementi rende lo spettacolo avvincente e coinvolgente.

Questa versione de “La grande magia” esplora il contrasto tra verità ed illusione in chiave psicologica, rendendo omaggio al teatro. La regia di Gabriele Russo esalta il gioco della finzione, trasformando la scena in una “scatola magica” dove l’illusione teatrale prende vita.

L’unico elemento che si sottrae al gioco dell’illusione in “La grande magia” è il tema della morte, un concetto reale e definitivo che la pièce affronta con profondità e delicatezza. Anche il mago Otto Marvuglia ammette la sua impotenza di fronte a questo mistero, dicendo: “questo trucco non lo conosco.” La morte, in questo contesto, rimane fuori dalla portata di qualsiasi magia o manipolazione, rendendola l’unica realtà ineludibile.

Sul palco di questa versione de “La grande magia” diretta da Gabriele Russo, ci accompagna una riflessione centrale di Eduardo De Filippo: “Ho voluto dire, che la vita è un giuoco, e questo giuoco ha bisogno di essere sorretto dall’illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede. Ed ho voluto dire che ogni destino è legato al filo di altri destini in un giuoco eterno: un gran giuoco del quale non ci è dato di scorgere se non particolari irrilevanti.”

Ersilia Marano

LA GRANDE MAGIA

di Eduardo De Filippo


regia Gabriele Russo


con


Natalino Balasso nel ruolo di Calogero Di Spelta
Michele Di Mauro nel ruolo di Otto Marvuglia
e con, in ordine alfabetico
Veronica D’Elia – Amelia Recchia
Gennaro Di Biase – Mariano D’Albino e Brigadiere di P.S.
Christian di Domenico – Arturo Recchia e Gregorio Di Spelta
Maria Laila Fernandez – Signora Marino e Rosa Di Spelta
Alessio Piazza – Gervasio e Oreste Intrugli (genero Di Spelta)
Manuel Severino – Cameriere dell’albergo Metropole e Gennaro Fucecchia
Sabrina Scuccimarra – Zaira (moglie di Marvuglia)
Alice Spisa – Marta Di Spelta e Roberto Magliano
Anna Rita Vitolo – Signora Zampa e Matilde (madre Di Spelta)
scene Roberto Crea
luci Pasquale Mari
costumi Giuseppe Avallone
musiche e progetto sonoro Antonio Della Ragione

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