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Intervista a Cesare Isernia (Cé) che racconta l’uscita di “Sotto ‘a luna”, il nuovo video

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La proposta è quella di una “Via d’uscita”, lanciata sotto forma di album, il 29 ottobre, scorso da Apogeo Digital Hall, la firma è quella del cantautore campano Cesare Isernia, in arte Cè.

Con quasi 30 anni nella musica coronati da cinque album, Anime (2012), Sono laureato in economia (2014), Di vita, morte e miracoli (2016), La strada della felicità (2019) per arrivare a Via d’uscita (2021), un album che secondo lui rappresenta un po’ “la conclusione a questo periodo folle”, Isernia prova a trasmettere le medesime sensazioni con “Sotto ’a luna”, il nuovo singolo estratto dall’album, accompagnato da un videoclip pubblicato il 15 febbraio. “E vache cammenanne sott’a luna”, è il ritornello che subito arriva alla testa, di un brano che sa totalmente di Napoli con il suo dialetto che ricorda le tradizionali poesie napoletane, ma dal groove leggero che accompagna l’ascoltatore all’interno di un sound avvolgente nel suo crescendo.

 

Non abbiamo resistito e abbiamo raggiunto telefonicamente Cesare Isernia per una piacevole chiacchierata sulla sua musica, tra ispirazioni e aspirazioni di chi la musica l’ha rincorsa e amata da sempre.

Dici che continui a fare musica per essere d’esempio ai giovani, ma tolta l’ironia che fai a riguardo, sono praticamente 30 anni che sei nel mondo della musica.

 Ho iniziato a scrivere canzoni da ragazzino, le prime sul diario scolastico alle superiori che ancora non sapevo suonare la chitarra. Poi pian piano, iniziando a suonare la chitarra sono venute fuori tante canzoni. Negli anni ‘90 c’è stato il gruppo gli Aramartis con cui ho suonato molto tra il ‘94 e il ‘97, prima di ributtarmi nell’attività lavorativa a tempo pieno di consulente finanziario. Poi nel 2010 ho deciso di riprendere per non mollare più, di non mettere la musica da parte, perché dopo 13 anni sentivo che mancava qualcosa, anche se ho sempre continuato a scrivere e quindi a un certo punto decisi di rimettere tutto in gioco. Ho ripescato inizialmente la produzione degli anni ‘90, infatti il primo disco è più rockettaro. Successivamente iniziò la collaborazione con Massimo Blindur che è stato il produttore di tutti e tre gli album successivi, mentre l’ultimo lo ha prodotto Gnut, con il quale si è subito stabilita una bella intesa.

Noto come all’interno dei tuoi album ci sia quasi un percorso, l’ultimo è “Via d’uscita” mentre il precedente è “La strada della felicità”, come se fossero legati o sbaglio?

 Sì, in effetti gli ultimi due album hanno in comune, a parte la linea più acustica e meno elettrica, anche l’essere più riflessivi, sia dal punto di vista del lavoro musicale sia per i testi, molto più interiori, molto più pensanti e nati da riflessioni molto profonde. Oltre a tutto ciò, c’è stata una deviazione molto cantautorale, forse dipesa dalla vena rock che si assopisce con il tempo. Oppure poi magari tornerà, il prossimo album sarà alternative-rock, chi lo sa, tutto è possibile.

Bisogna sempre sperimentare e provare nuove cose, infatti vedo che c’è un mash-up di suoni e di influenze diverse.

Assolutamente sì, ritengo limitante legarsi a determinati schemi standard, cioè nel senso: “Io sono per la musica nord-europea, quindi Inghilterra, Gran Bretagna, Islanda. O io sono più filo americano, quindi vado nella direzione del rock-americano” ecc. Per me c’è il bello un po’ in tutto, anche nella musica leggera quella più sgamata italiana, perché anche lì ci sono delle perle incredibili. Quindi, ascolto di tutto. Ho iniziato a 10 anni che ero fan dei Pooh, come se fossero i miei Beatles, e ho ancora tutti gli album conservati. Poi iniziai ad amare i cantautori, Baglioni, Dalla, De Gregori, Battisti; iniziai poi con Neil Young, James Taylor, gli Eagles, quindi una vena country molto posata fino a verso i vent’anni, quando iniziarono ad esplodere gli U2, gli Smiths, The Cure, un periodo che veniva definito dark. Dopo ancora c’è stata l’onda Radiohead degli anni ’90, quindi dai vent’anni sono stato molto filo-rock. Quando ho ripreso, in ogni album c’era sempre qualche pezzo abbastanza acustico e melodico e vedevo che cresceva sempre più questa esigenza di fermarsi un po’ e essere più tranquillo, e gli ultimi due album ne sono la diretta conseguenza. Adesso ho già in mente una cosa che uscirà fuori da ogni canone tracciato finora, vale a dire il prossimo lavoro a cui inizierò a lavorare entro fine marzo con altri cantautori. Penso a  una decina di brani che ho scritto durante il lockdown, molto divertenti (ma non superficiali) e in dialetto napoletano, che spaziano dal raggae, alla taranta, al blues. Spero che ne esca qualcosa di bello.

Una non esclude l’altra ovviamente, i miglior testi sono quelli che fanno cantare tutti ma lasciando la riflessione. Noto quindi tantissima sperimentazione che metti subito in pratica.

Sì, sarà il fatto che ho avuto quel periodo di pausa molto lungo, tra il ‘97 e il 2010, che dopo, quando ho ripreso è stato un voler recuperare il tempo perso e questo penso mi abbia anche un po’ danneggiato. Sono passate alcune opportunità che probabilmente non ho saputo cogliere, soprattutto sotto il profilo autoriale, c’era la possibilità magari di collaborare con alcuni artisti che poi hanno avuto uno sviluppo successivo, ma poiché avevo tanto da fare, ho pensato esclusivamente a fare nuovi dischi, e a conti fatti avrei potuto rallentare, ma è anche una questione di indole caratteriale.

Di concreto hai fatto tanto, in attivo hai 5 album, e a breve avrai il sesto in cantiere. Una cosa che però mi incuriosiva è sapere che cosa rappresenta “Via d’uscita”?

È un disco che sto ascoltando costantemente, non mi stanca proprio mai. È vero che è naturale che questo avvenga con ogni nuovo lavoro, ma io davvero farei un video e un singolo per ogni pezzo dell’album perché mi è piaciuto tutto, come ha lavorato Claudio Gnut, per i musicisti che ha coinvolto, tutti di altissimo livello e con la mentalità adatta al suono che voleva dare all’album, quindi ha scelto davvero tutto perfettamente. Anche a lui è piaciuto tantissimo e ha voluto mettere lui tutti i cori, infatti non ho fatto nessuna doppia o tripla voce.

Di cosa racconta l’album e cos’è per te la via d’uscita?

L’album è nato nel primo lockdown di marzo-aprile. In quei due mesi ho staccato per scelta con l’attività lavorativa, perché potevo permettermi il lusso di bloccarmi, e mi sono detto “vediamo che è sta roba che sta uscendo fuori, ‘sta malattia”. Avevo tanta voglia di chiudermi a scrivere, avevo una serie di appunti, di cose da scrivere e mettere in ordine. In quel periodo è nata gran parte dei pezzi di “Via d’uscita” e la gran parte dei pezzi che ho in sospeso, di cui ti dicevo, molto allegri. A Claudio Gnut gli sono piaciuti tutti fin da subito,  però ha scelto quelli che in una logica di appartenenza anche sua, come caratteristiche, poteva arrangiare in totale naturalezza, individuando questi dieci brani presenti nell’album.  Le linee musicali sono piuttosto coerenti per cui mi hanno dato un senso di liberazione, in considerazione anche di una pandemia che sembra volgere alla fine. Il titolo, invece, è nato dopo aver visto la foto che è diventata la copertina del disco.

 

Parlando dell’ultimo singolo, perché hai scelto proprio “Sotto ‘a luna”?

È stata molto combattuta come scelta perché ero indeciso tra diversi brani, almeno quattro o cinque. Poi parlando con Gnut, lui disse: “Secondo me quel pezzo lì ha qualcosa che, rispetto al tanto dialetto che gira, ha il suo perché. Facciamo Sotto ‘a luna“. Dopo un po’ anche il fonico che ha mixato l’album, Giuseppe Innaro, disse la stessa cosa e a quel punto mi decisi. Poi pensai potesse essere anche un ponte di collegamento con il successivo lavoro che arriverà comunque in dialetto.

Come nasce il brano?

È un brano del quale è nata prima la linea melodica, suonando la chitarra e cantando in finto inglese. Avevo trovato questa linea vocale e ci cantavo su. Ho fatto una registrazione sul cellulare per non dimenticarla, e ascoltandola nei giorni successivi, la sentivo sempre più bella, più interessante e man mano, mi sembrava di intuire che c’era la lingua napoletana dentro, che poteva suonare più in napoletano che in italiano. Così iniziai a scrivere delle cose, finché venne fuori questo stacco nel ritornello: “E vache cammenanne sott’a luna”. 

 

A questo punto possiamo dire che il brano fa da ottimo legame ai tuoi progetti futuri.

Sì, sicuramente ci ritroveremo con un piglio completamente diverso dalla nostalgia e dalla solitudine di “Sotto ‘a luna”. Ci saranno tutta una serie di episodi, dove ognuno parla di un personaggio specifico della vita napoletana. Per dirti qualche titolo: “Giggin s’è ‘mbriacat”, “Carmel è sfurtunat”, “Alice se n’è gghiut”, “A panz e Tonino”, “Luisella”, “Rafele”, “Nanninella affacciata a finestr”, e poi ce ne sono due o tre che sono all’inizio, uno centrale e uno finale, che non sono su un singolo personaggio, ma parlano di Napoli, della città, della mentalità tipica di Napoli, dei lati più belli della città insomma.

Una bella celebrazione allora.

Concettualmente ci sta, mi piace molto, mi diverte molto suonarli e cantarli. Ovviamente ci sono alcuni che non riesco a pensare che possa cantarli io, ecco perché ho pensato a più cantautori, cantautrici, proprio per fare in modo che alcuni pezzi siano cantati da una voce femminile, un altro magari da una voce più impostata, un’altra magari più tenorile… Insomma, immagino voci diverse in questo lavoro, però mi diverte proprio tanto.

Come un direttore d’orchestra, dirigerai verso un canto celebrativo.

Una sorta di Camera d’Autore, però fatta in un album. Infatti ad ognuno di loro proporrò, nel caso lo ritengano opportuno, di aggiustare e aggiungere qualcosa nel testo poiché voglio che sia un lavoro collettivo.

Certo, in modo da lasciare libero l’artista di sentirsi a suo agio all’interno del pezzo e di dare comunque un giusto contributo.

Si, questa è l’idea di partenza. Poi vedremo man mano che la realizziamo, anche perché ho pensato che ci sono tanti cantautori, bravissimi, talentuosissimi, i quali hanno però difficoltà a reperire serate dal vivo. E allora ecco che riuscire a trovare un progetto collettivo nel quale, sebbene ognuno rimane col suo stile, penso possa essere di interesse per il pubblico e spingerlo ad approfondire la conoscenza degli artisti e quindi a seguirli con interesse.

Hai ora tutte le carte in regola per fare un album che ti darà una soddisfazione pazzesca, e potrà ridarti una possibilità per stare tutti insieme e collaborare per Napoli.

Esattamente, quello sarà l’obiettivo. Fermo restando che “Via d’uscita” rimane un lavoro che a me piace tantissimo, dal quale tirerò fuori sicuramente altre cose legate. Per esempio un brano come “La luna che parla”, dove c’è l’immagine di una barca di migranti che sta approdando sulle coste e a un certo punto tutti stanno a guardare questa luna nel cielo che nel ritornello inizia a parlar loro. È molto forte, è un modo di raccontare il fenomeno in maniera un po’ diversa da quella che abbiamo sentito più volte, anche se è un tema che non è mai scontato, cantarlo è sempre positivo, una goccia in più in un mare dove, a volte si valutano gli aspetti in maniera sbagliata. Subito dopo c’è “Tua”, un brano che parla della donna, infatti l’otto marzo, almeno sulla mia pagina di Facebook pubblicherò qualcosa per parlare del brano. “Lei” parla delle donne, e della donna, che ha questa forza interiore che generalmente emerge in maniera preponderante quando si stacca da tutte le altre cose della vita, soprattutto la mediocrità di noi maschi, che molto spesso, siamo superficiali. La profondità della donna va sempre un po’ oltre, sarà che sono filo femminista perché ho conosciuto molte donne grandiose, compreso le mie figlie che stanno diventando donne e le vedo già “armate” di una forza superiore.

Che bello. Nel concreto, riusciremo ad ascoltare tutto ciò e l’album in live, nonostante la pandemia?

Io spero di sì. Spero che nel momento in cui inizio a lavorare a questo nuovo progetto, contemporaneamente proveremo i brani per farlo live nel prossimo inverno. “Via d’uscita” è un lavoro che secondo me si svilupperà nel corso del tempo, non è immediato, a causa anche della pandemia. L’uscita a fine ottobre e dopo un mese che stavo iniziando con i primi contatti per il live, mi sono trovato di fronte a un blocco che mi ha fermato. Abbiamo fermato le prove e da qualche giorno stiamo ripensando al progetto. Il batterista della Maschera, Marco Salvatore, che ha iniziato con me con l’album “Sono laureato in economia” e abbiamo suonato parecchio assieme, è sempre rimasto molto legato a quello che faccio e subito si è mostrato pronto a seguire sia il progetto nuovo che nascerà. A lui si aggiungerà il bassista che già abbiamo individuato e suonerà anche nel progetto futuro. Infine, ci saranno vari cantautori e chitarristi insieme a me, quindi è quasi tutto pronto per andare in live.

 

Spero allora di sentirvi presto live, ne abbiamo bisogno!
Spero anch’io che arrivi presto questo momento.

 

Roberta Fusco