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0A chiunque è capitato di affrontare un periodo difficile, quando tutto sembra scuro e non si ha la capacità di uscirne fuori, travolti da ansie e preoccupazioni. In quei momenti si desidera solo avere un po di serenità, un concetto che Blindur mette in musica con il nuovo singolo Sereno. Unendo il folk-rock ad atmosfere più felici e intense ispirate alla modern ecletic, esce fuori un brano che si tuffa in parole e suoni che possono smuovere l’ ascoltatore verso un cambio di rotta.
Prodotto con il sostegno di Voci per la libertà – una canzone per Amnesty International e con la coproduzione artistica di Marco Fasolo e di Carla Grimaldi, il progetto Blindur (realizzato da Massimo De Vita) con Sereno anticipa nuovi discorsi e temi che verranno affrontati nel prossimo album in uscita a settembre, consolidando la collaborazione con Birgir Birgisson, fonico e produttore di Sigur Rós e Bjork.
Allegre ma intense, le note di Sereno ci hanno permesso di raggiungere telefonicamente Massimo De Vita, per parlare di ricerca di serenità, di presente, di emozioni e di ansie da scacciare con la musica.
Ho troppe cose da chiederti, quindi per partire: come nasce e di cosa parla Sereno?
Così come le altre canzoni che fanno parte del disco che uscirà a settembre, Sereno è un po’ un frutto di questi ultimi due anni di lavoro, miei, con i ragazzi della band e una serie di collaboratori esterni che hanno orbitato intorno al progetto. È stata una canzone un po’ improvvisa. Mi spiego, la sua genesi è stata abbastanza violenta in senso positivo, perché a differenza di altre canzoni su cui lavoro molto prima di ritenerle chiuse, nel caso specifico di Sereno è stata quasi subito definitiva. E credo che il motivo sia legato sostanzialmente al fatto che avevo bisogno di compilare una pagina di diario e salvaguardare innanzitutto l’urgenza che avevo nel descrivere questa ipotetica navigazione. Io sono un grande appassionato di mare, di navigazione, di letteratura di viaggio, specialmente legata al mare e ho immaginato questa situazione di stallo di una nave ferma in mezzo al mare: non c’è vento, sembra sempre che stia per succedere qualcosa e poi questo qualcosa non arriva mai, e quindi c’è la necessità di inventarsi un nuovo significato della serenità. Ovvero, la serenità non è più sinonimo di tranquillità, bensì diventa la totale assenza di aspettative, di speranza, di prospettiva, traducendo tutto in un grande inno al presente, mettiamola così. Qui e ora diventa la chiave di lettura principale di tutto. Il futuro diventa qualcosa di molto più vicino di quello che magari sarebbe in un contesto normale.
Allinizio del brano dici: Amico mio dimmi se almeno oggi cè qualcosa allorizzonte, andrebbe bene anche un miraggio, una visione tra le onde. Si avverte l’intenzione dell’ immediato, volersi prendere tutto perché quello che abbiamo vissuto ci ha ostacolato nella vista del futuro.
Però per te, quando pensi a Sereno, pensi a questo concetto o anche altro?
Io sono irrequieto, quindi preferisco la felicità alla serenità. Anche se la prima è più volatile e meno duratura, mi piace di più perché credo sia un motore. Nel senso, la felicità per la sua natura così sfuggente, ti costringe ad essere sempre in cammino, mentre la serenità facilmente può essere un concetto sul quale ci si adagia. Però, la nostra generazione nello specifico, le condizioni, le contingenze storiche di questi ultimi anni (ma non degli ultimi due, ma degli ultimi venti potrei dire), ci costringono alla riflessione sull’idea di certezza, sull’idea di serenità come la intendevano i nostri genitori, ad esempio. Magari loro pensavano alla serenità e alla certezza come a una solidità, a una routine; mentre gli ultimi vent’ anni di storia ci hanno insegnato che è molto difficile mettere i piedi su qualcosa di solido e duraturo: penso dalle torri gemelle in poi, è tutto un cambiamento continuo, inaspettato, che si rivela essere un capovolgimento totale di tutto, nel senso che quello che cera prima, viene quasi cancellato. È proprio come una pagina che viene voltata, dove è tutto nuovo, tutto da reinventare. Di fatto, poi, qual è la nostra serenità? La serenità che immagino io è legata al fare, al capire cosa c’è adesso, l’immediato ma non nel senso di Voglio tutto, lo voglio subito, ma è il valorizzare il presente. Non voglio essere retorico, ma facilmente si può dire che era meglio prima o potrebbe essere meglio domani. Io voglio pensare che oggi è bellissimo, con tutte le sue difficoltà. Mi sembra questa forse l’unica chiave di lettura. Io chiudo il brano dicendo La notte è particolarmente buia, ma la rotta è quella: il destino è inevitabile, quindi possiamo soltanto andargli incontro, accoglierlo e fare del nostro meglio.
Penso sia la scelta migliore per l’individuo: non accontentarsi, non piangersi addosso, piuttosto vivere e basta.
Esatto, è proprio questo il punto. Tornando all’origine delle parole, la preoccupazione, occuparsi di qualcosa prima che quella cosa accada, è ciò che diventa poi ansia. Penso sia proprio il sentimento di quest’epoca, della nostra generazione nello specifico. È evidentemente che non è foriera di qualcosa di buono. A noi servono dei motori.
-E qui salta la telefonata. Riprovo a richiamare e il motivo sarà stato il caso che ha ascoltato la nostra conversazione-
A forza di vivere senza ansia, non ti preoccupi nemmeno se il telefono è carico o scarico. Questa è la controindicazione di vivere così (ride) Di fatto, quello che cercavo di dire è che le cose succedono. Un po di sano fatalismo, tutto sommato, non ci farebbe male.
È la giusta motivazione per stimolarsi a fare cose, altrimenti si resta impantanati nel presente, senza muoverci dal nostro corso, dal nostro movimento. E per usare la tua metafora, senza affrontare il mare e le onde.
Quelle sono inevitabili, nel senso che se vuoi uscire, mettere il naso fuori di casa, c’è il famoso detto Chi per mare va, questi pesci prende. L’unico modo per non capitare nelle tempeste è non uscire dal porto, però, parafrasando Ivano Fossati: un capitano per quanto giovane dovrebbe stare in mare, quindi di fatto il nostro luogo è quello.
Puoi incontrare la tempesta all’inizio, e scoprire il sereno più a largo.
Andando ancora più a fondo, questi saranno i ragionamenti legati anche agli altri pezzi dell’album?
Il disco, non vorrei fare spoiler, di fatto è un percorso che andrà da un punto A e arriverà a un punto B ed è un’idea legata anche al gioco, ma c’è un concept complesso dietro. Sereno anticipa sicuramente il tema del viaggio, del percorso, dell’andare, la quale è una tematica molto cara a Blindur in generale e nello specifico nel prossimo disco sarà piuttosto presente. In più, Sereno sicuramente anticipa una luminosità che non c’era nel disco precedente, portando un po’ una ricerca. Il disco precedente era figlio di un periodo molto buio, complesso, anche molto sofferente, nel quale si pensava di avere la consapevolezza che da qualche parte ci fosse una luce, ma di fatto quella luce in quel momento non si vedeva. Invece in questo disco sono abbastanza certo che da qualche parte la luce c’è, e Sereno col suo dichiarare che la rotta è proprio questa suggerisce una direzione.
Sembra una direzione che porta a riflettere, non solo sul presente, ma pare che voglia ritrattare su vari punti per dare anche un minimo di speranza.
Speranza è proprio una parola che io ho cercato di bandire dal mio vocabolario. Nel senso che le speranze mi sembrano più parenti alle illusioni, perché più che sperare voglio fare, voglio costruire: fare in modo che riesca a stimolare il contesto per far succedere qualcosa, e non sperare. Quindi, in realtà, il concept del disco consegna in qualche modo l’idea di darsi al corso degli eventi, alla fatalità, mantenendo le antenne bene alzate, per capire come bisogna reagire a quello che succede. Quindi più che una speranza per vedere una luce, c’è proprio una ricerca. Mi sembra la parola più giusta: cercare trasferisce il senso dell’azione, mi interessa quel moto lì.
Molti quando scrivono di una fase di cambiamento emotivo e vogliono trasmetterlo al pubblico, utilizzano sempre il termine speranza, ma mi piace che cerchi di bandirla, perché effettivamente diventa ridondante nel tempo, come se perdesse di forza.
Monicelli diceva: “le speranze sono tossiche, perché quando chiudono la fabbrica, dicono non vi preoccupate, tornate a casa, abbiate fede e qualcosa succederà”. Personalmente, sono molto vicino a questo tipo di prospettiva, perché non è con la speranza che si fa il cambiamento, è con lazione diretta, la volontà della trasformazione. È in questo senso che la speranza non m’interessa. È come le aspettative: non voglio aspettarmi niente, non ho nessuna aspettativa di nessun tipo, sia nella mia vita personale che nel mio percorso artistico. Ed è per lo stesso motivo, ovvero credo che posso soltanto fare tutto quello che mi è concesso. E qualsiasi cosa mi sta aspettando e qualsiasi succederà, avrà i suoi lati positivi e i suoi lati negativi, quindi devo essere soltanto pronto ad accoglierla.
Dalla tua, hai che attraverso la musica puoi trasmettere tutto ciò al pubblico.
Non ho la pretesa di poter guidare qualcuno, però la musica parla a una parte di noi meno razionale, quindi può capitare che un brano a prescindere dalla sua fama, e a prescindere dalla fama di chi l’ha scritto o lo canta, può toccare qualcosa dentro di noi, anche in maniera inaspettata. Anche a me è capitato di essere sia da una parte che dall’altra di questo discorso. Mi è capitato di ascoltare le storie di persone che seguono Blindur e mi hanno totalmente spiazzato. Così capisci come le canzoni che scrivi prendono delle strade tutte loro. Questa è la bellezza della musica: scrivere una canzone ma poi quella canzone non è tua, è di chi l’ascolta. E questa forse è la parte più bella.
A tal proposito, componi per te ma scrivi e produci anche per altri. Quanto senti il contrasto e come vivi la consapevolezza di avere oltre al tuo progetto, e le emozioni a riguardo, anche quelle per la stesura dei brani altrui? (che non credo sia cosa da poco.)
No, è un disastro! È una delle esperienze più catastrofiche in assoluto. (ride) In realtà sono molto più bravo a lavorare con e per gli altri, che per me stesso. Riesco ad essere un po meno coinvolto. Personalmente, non sono un tipo molto prolifico nella scrittura, poiché mi sono imposto di scrivere solo e soltanto quando ne sento davvero il bisogno, cioè quando sento che arriva qualcosa di talmente forte da non riuscire a contenerlo emotivamente, allora lo faccio. Però se non sento che arriva quell’onda preferisco non scrivere. Preferisco produrre, stare zitto, che certe volte non è male. Però devo anche dire che lavorare con gli altri è uno stimolo enorme, ed è il motivo per il quale Blindur si è trasformato in una band, nel senso di un contenitore nel quale, sembrerà banale ma a parte me, ci sono persone che hanno dei background molto diversi dai miei e che hanno anche delle visioni molto diverse dalla mia: anche se spesso si litiga, più spesso ancora arrivano degli input molto significativi. In questi due anni ho lavorato con una serie di artisti come produttore, per esempio con La Maschera, Fede’n Marlen, e altri, che fanno cose molto diverse da Blindur, ma parallelamente c’è stato continuamente fermento, movimento. Ognuno ha portato enormi contributi a questo disco, molto più di quanto non sia successo in passato, rendendola un’opera molto più collettiva di com’è stata impostata. Io traggo molto giovamento e ricchezza dal confronto, anche se poi quando devo essere io a produrre le mie cose, e io a giudicare il mio lavoro, sono un giudice molto esigente e cattivo, quindi prima di mollare il colpo su qualcosa e dire mi va bene, ce ne vuole.
Un conto è scrivere qualcosa per un’altra persona e quindi avere il giudizio dell’altro; e un conto è scrivere per sé, accettare quel pezzo ed essere pronti ad accogliere le parole che stai scrivendo, quelle emozioni che vuoi scrivere e infine a volerlo condividere.
Ci sono parole che stanno bene in bocca a persone, e parole che stanno male. Anche se sono sempre la stessa persona a lavorare anche con altri artisti, in realtà quando lavori per gli altri cerchi di essere complementare: faccio sempre in modo che la pietra angolare sia la stessa che ho di fronte e cerco di tirare fuori il meglio da quello che già c’è, di lavorare intorno a uno spunto. Nel mio caso, devo mettere a fuoco delle questioni estremamente personali ed estremamente vive che diventano difficili da maneggiare emotivamente. Ci sono delle canzoni che quando arrivano in studio, non so mai se riuscirò realmente a cantarle perché magari trattano questioni particolarmente spinose per me e quindi devo anche metabolizzarle in un certo modo, prima di essere capace di lavorarci.
Penso sia collegato al discorso precedente sulla scrittura solo nei momenti del bisogno. Credo sia ciò a rendere davvero artisti e a soprattutto, a rendere i tuoi testi così genuini, spontanei, sinceri e colmi di emozioni vere percepibili dagli altri.
Ti ringrazio perché quello è il mio obiettivo principale, ovvero salvaguardare la sincerità. Io sono convinto che quando sali sul palco, se stai dicendo la verità chi sta dall’altro lato lo sente e se stai dicendo una bugia, lo sente uguale. Poi ci sono quelli che sono più bravi a dire le bugie e quindi magari gli riesce meglio. Ma nel mio caso, me lo vedi scritto in faccia se non sto dicendo una cosa vera.
Hai detto palcoscenico e infatti i live te li mangi per quanto suoni. Quindi, dobbiamo aspettare a settembre dopo l’album per ascoltarti dal vivo?
- Allora, quest’estate suoneremo poco. Nel senso, faremo una serie di esibizioni che non abbiamo ancora annunciato, e già qualcosa a partire da giugno, ma il tour vero e proprio partirà da ottobre con l’uscita del disco e quindi inizierà il tour nei club. Ma quest’estate dal vivo abbiamo un’enorme voglia di suonare, qualcosina inizieremo già a farla ma ripeto, saranno pochi ma buoni. Cercheremo di mettere insieme circostanze speciali, presenteremo qualche canzone nuova, e c’è tutto il nuovo live set che abbiamo già in buona parte preparato. Io sto già con la mia nuova chitarra elettrica zebrata! Siamo carichissimi, ma sappiamo che dobbiamo avere ancora un po di pazienza prima di poterci rimettere ufficialmente in pista. Poi gli imprevisti sono dietro l’angolo ma noi siamo pronti ad accoglierli, sperando che siano tutti imprevisti positivi!
Roberta Fusco