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Dal 1948 ad oggi, le “case chiuse” restano una tematica su cui l’opinione comune si divide, ma com’era la vita di queste veneri vaganti dell’epoca? Negli anni ‘50 Napoli contava circa 900 case di piacere: tra le umili lupanare dei Quartieri Spagnoli ai bordelli lussuosi di via Toledo non si trovavano solo donne di postriboli o meretrici tesserate, ma le storie di Napoli…perché la storia di un popolo passa anche attraverso le lenzuola stropicciate di alcuni letti.
Prima della Merlin, nel 1860, il governo Cavour pubblicò un regolamento sulla prostituzione che fu esteso a tutte le province annesse al Regno. Emanato per prevenire la riacutizzazione della sifilide nell’esercito piemontese in guerra, questa norma non fu applicata solo a scopi sanitari. Tale regolamento rappresentava infatti uno strumento di controllo sulle donne da parte della società. In particolare, si autorizzava l’apertura di postriboli di Stato divisi in categorie,tassando il meretricio con imposte da versare nelle casse statali. Mille ruffiani aprirono, in pratica, i cancelli dell’ “Apocalisse”, nascondendosi tra le pieghe dell’ipocrisia.
Oltre la casa del famosissimo Domenico Mondragone, esistono altri antichi luoghi napoletani dove l’arte della seduzione nasconde in seno la storia partenopea: per la prima volta assoluta, sabato 7 marzo 2015 (dalle ore 19:00) l’Associazione Culturale NarteA alza il sipario al n°55 di via Toledo con “Meretrices – Tra le pieghe dell’ipocrisia”, un nuovo format teatralizzato che, seguendo le impronte del tempo, indaga la storia del mestiere più antico del mondo per svelare pagine di storie occultate.