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Napoli, al Teatro Bolivar, successo per lo spettacolo “Lucciole”

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foto Ersilia Marano

Al teatro Bolivar di Napoli è andato in scena dal 20 al 21 aprile, lo spettacolo “Lucciole”, scritto, diretto ed interpretato magistralmente da Martina Zaccaro. Accanto a lei in scena ci sono l’attrice Roberta Misticone nel ruolo della mamma Titta e l’attrice Titti Nuzzolese nel ruolo di zia Amelia, mentre Martina Zaccaro, è Stella, una ragazza disabile.

Lo spettacolo “Lucciole”, vincitore del premio “Le cortigiane”, nel 2019, è come un viaggio guidato dalla stessa autrice, completamente in dialetto napoletano, in cui il pubblico in sala, non può che sentirsi attraversato e allo stesso tempo coinvolto: perché le lucciole di Martina Zaccaro anche se timide volano alto, a volte trasformandosi, altre volte restando tali, e in quelle due lampadine che si spengono e si riaccendono, ad intermittenza, c’è un viaggio artistico ed emotivo che ha fatto vibrare le nostre anime, ci ha scosso e strattonato, ci ha commosso, ci ha fatti sentire diversi come la sua protagonista, Stella,  e ci ha trasformati come le sue mille lucciole volanti, parlanti e sognanti.

Quando il sipario si apre, ci ritroviamo immediatamente catapultati in una casa, stile anni ’70, caratterizzata da un disordine evidente e ricca di oggetti e di dettagli suggestivi e significativi.

Una vecchia radio, indumenti sparsi sul divano e sulle sedie, un mobile basso e un tavolo con una bottiglia di scotch. Durante lo spettacolo, questi dettagli prenderanno vita, svelando la loro importanza.

In scena, due donne che si ritrovano sotto la luce intermittente di due lampadine con fili neri ed iniziano a scambiarsi battute. Attraverso il loro dialogo, entriamo nel loro mondo emotivo e comprendiamo chi sono veramente. Grazie a questo scambio, ci immergiamo nella loro dimensione, scoprendo la loro vera identità.

Sono una madre e una figlia, anche se a volte e soprattutto in questo quadro iniziale sembrano più sorelle che altro. Stella, la figlia, è una ragazza bellissima, alta, con una chioma bionda, occhi chiari come le lucciole, autonoma e sicura di sé. Ogni volta che torna da un viaggio, scherza con la mamma sul disordine che c’è in casa e le dice che lo sistemerà perché “un figlio mica ti tradisce”, e poi aggiunge sempre qualcosa di profondo, suggerendo che il disordine nella casa rappresenta il disordine interiore della madre. Ed è sempre Stella, la figlia, a condurci in questa danza, in questo andare avanti ed indietro sul palcoscenico, come con le due lampadine che si accendono e si spengono, ad intermittenza, come nei suoi ricordi di bambina felice tra le sue mille lucciole parlanti, a tratti timide, altre volte, invece, ironiche ed irriverenti, evocative e poetiche, perché poi nei sogni possiamo essere quel desiderio nascosto, quella luce migliore, quello specchio che riflette l’anima e la nostra vera essenza, quella leggerezza che ti fa danzare nella e con la vita, quei toni accesi ma non troppo, e quel che poteva essere e che purtroppo non è stato, perché come canta Patty Pravo in “Sentimento”:  – al di là delle stelle forse c’è un mondo diverso per chi in questo mondo qui non ha avuto mai niente -. Ed è la radio, presenza costante e significativa, che viene accesa sempre dalla madre, trasmettendo unicamente le canzoni di Patty Pravo, a dare inizio e fine, confini e contorni, luce ed ombra, sogno e realtà, dettando i tempi scenici e teatrali, ma soprattutto diventando quell’elemento capace di far emergere e sottolineare le emozioni tra madre e figlia, illuminando come una luce che apre il cuore.

Lo spettacolo cambia direzione e toni, quando compare in scena la sedia a rotelle sul palcoscenico, rappresentando il passaggio dalla dimensione onirica alla realtà, mostrandoci così la vita quotidiana di una mamma che abbandonata dal marito fa la prostituta e la figlia Stella che è una ragazza disabile. 

E qui la madre si presenta e si prende il palcoscenico: sembra essere uscita dai film di Pedro Almodovar, madre e prostituta, forte e lottatrice, ma che allo stesso tempo fa a botte con i suoi dolori ed i suoi drammi, la sua solitudine, sola con se stessa e con i suoi fantasmi, bramando la fuga attraverso l’alcool, colorata ed eccentrica, dai mille registri che vanno dalla commedia al dramma. E sul palco entra un’altra figura femminile, la zia Amelia, sorella della mamma di Stella, che diversamente dalla sorella è severa, bigotta, austera, e giudicante.

Sembra che l’autrice Martina Zaccaro, abbia deciso di mettere in scena solo personaggi femminili, come se ci desse una sua personale chiave di lettura e di comunicazione: di fronte al dolore e al dramma, gli uomini scappano, mentre le donne restano affrontando la situazione, ognuna a modo proprio.

Martina Zaccaro, in questo spettacolo, affronta con coraggio ed autenticità, usando tante sfumature, il tema della disabilità, della diversità e del dolore che può esserci. Non ha paura di esplorare anche le complessità del mondo, come il ruolo della madre prostituta che tutte le notti si trasforma come le lucciole parlanti e sognanti di Stella, ma, allo stesso tempo, come un pugno nello stomaco si pone una domanda drammatica: “quanto può campare una lucciola spenta?”

Ed è sempre l’autrice Martina Zaccaro, attraverso la voce di Stella, a rispondere a questa domanda: perché, poi, sono l’amore, il coraggio, la verità, la forza di una madre seppur imperfetta a darci quella spinta a non mollare, perché nonostante la spada nel cuore che canta Patty Pravo, è quello sguardo d’amore che illumina e fa volare anche le lucciole più timide.

Ersilia Marano