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Dal 7 al 12 maggio, è in scena, al Teatro Bellini di Napoli, la riscrittura di Davide Sacco: “Napoleone. La morte di Dio”. Dal grande autore classico Victor Hugo, Sacco scrive un testo con Lino Guanciale come protagonista ad interpretare un figlio distrutto dalla morte del padre. È il 15 dicembre 1840 e a Parigi dopo vent’anni arrivano le spoglie di Napoleone Bonaparte. Un uomo figlio di Dio, di Napoleone o di nessuno, rapisce il pubblico con lo strazio di un lutto: è Guanciale, al centro, seduto su una panchina, incorniciato da Simona Boo e Amedeo Carlo Capitanelli intenti a spalare terra per la tomba del padre.
“Mentre leggevo le parole di altri, iniziavo a scrivere le mie”
Nel calore di casa, avvolti da un abbraccio, la sicurezza di un padre è un bene inconsapevole. Non giudicherà ma correrà in capo al mondo per salvare il figlio, “anche quando l’ultimo sogno sarà andato via”. Dopo aver passato la vita a mettere in un angolo le persone, si realizza troppo tardi che nessuno vivrà per sempre. Ci vuole un attimo che tutto muore, non resta che uscire e lasciarsi cadere all’idea di essere orfani. Aggrapparsi nei primi momenti agli ultimi frammenti rimasti e realizzare di essere solo un uomo, oltre che figlio.
“Confonderemo l’amore con l’odio. L’odio con la pazienza”
Provare invidia per i bambini liberi di piangere con dignità, mentre la rabbia è annientata dalla solitudine. Pronti a chiedere scusa al silenzio per non essere abbastanza coraggiosi di agire, mentre si è invasi dalla sofferenza per la propria vigliaccheria. Si realizza che padri e figli camminano accanto per tutta la vita e solo una volta si guarderanno e realizzeranno chi sono: durante la morte di uno e la nascita dell’altro.
“Quand’è giusto lasciare questo mondo?”
Sentirsi dire “tuo padre ne sarebbe felice”, quando si desidera solo la sua presenza nel presente. La vita vissuta adesso non è la stessa, mentre il dolore non lascia pace. Un corteo, la banda con i cavalli: è un funerale ma sembra una festa. Non serve a nulla fare richieste, il rispetto desiderato per il corpo del padre non è abbastanza. Un pezzo di marmo non può significare un uomo e non può rispondere a domande.
“Si perde solo quello che hai avuto”
Sacco descrive un uomo solo. La risoluzione strazia quando si realizza che l’uomo non possiede alcun potere. Esso è solo, “solo come Dio”. Non ha mai avuto niente, non può distinguere un vincente da un perdente, e nonostante i fallimenti in quel padre vedrà sempre un vincente. Per un figlio, lui è Dio, l’imperatore, un Re, e non un povero straccione. Solo una richiesta: “tieneme astritto, nun me lassa’”.
Roberta Fusco