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“La casa di Posillipo”: intenso e intrigante il nuovo romanzo di Ciro Pinto

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Avete presente quando iniziate a leggere un libro e lo divorate senza riuscire a staccarvi affezionandovi ai personaggi, agli intrecci, ai luoghi, alle immagini e che quando finisce, non riuscite ad immergervi nella lettura di un altro perché non ce la fate a staccarvi dalla storia in cui siete entrati?

Ebbene è proprio quello che succede leggendo l’ultima opera dello scrittore Ciro Pinto “La casa di Posillipo” (ed.Tralerighe libri, 338 pagine, euro 15,00).

Il romanzo è ricco, intenso, intrigante e presenta un intreccio complesso con una struttura linguistica abilmente costruita che lo rende molto particolare e differente dagli altri romanzi. Ciro Pinto ha indubbiamente una bella penna in cui le descrizioni, le azioni, i dialoghi, i conflitti si avvalgono di un lessico raffinato e suggestivo senza disdegnare termini ed espressioni in vernacolo napoletano che non necessitano di virgolettature in quanto ormai parte del patrimonio linguistico nazionale. Un’altra peculiarità riguarda la tecnica della narrazione: il narratore ora è interno ora è esterno e le azioni si svolgono attraverso l’alternanza dei tempi con salti cronologici, in una sorta di “mise en abîme”, racconto nel racconto, senza tuttavia deviare e intaccare minimamente l’attenzione del lettore, anzi rendendola ancora più avvincente.

Ma veniamo ai contenuti del romanzo. Il perno principale, il collante, è la casa di Posillipo che acquista un potere demiurgico attraverso una vera e propria personificazione. Le storie delle diverse generazioni della famiglia Costabile ruotano magicamente intorno ad essa in un lungo arco di tempo che si estende dagli anni ’20 ai giorni nostri. La casa come una spugna assorbe respiri, emozioni, ribellioni, dolori, crescite, amori, passioni, crisi adolescenziali, trasgressioni, amicizie e inimicizie, delusioni, amarezze, sogni, lutti, gioie… insomma la vita con le sue innumerevoli contraddizioni.

In essa ed intorno ad essa si muovono i protagonisti, Amedeo senior e junior, Armando senior e junior, Dora, Franca, Matilde, Tonino, Nunziatina, Concettina. La città di Napoli costituisce l’immenso scenario che la circonda. “…Pensai che in questa città tutto può cambiare all’improvviso, la sua faccia si può storpiare in un attimo. Alla fine questa città devi accettarla, prendere o lasciare, sempre queste le uniche alternative c’è poco da fare.”

Si sentono odori, sapori, si ascoltano melodie, riecheggiano nomi e soprannomi come ’o fucaràzzo, Mezzaluna, Totonno,‘a Carbonella, ‘a strologa, si ammirano i suoi scenari, il suo mare, il “Titanico” Vesuvio, si visitano i suoi quartieri, ci si addentra nel centro storico, nelle piazze e nell’affollata e vivace rete di decumani e cardini, calpestando i basoli e costeggiando bassi e chiese con le loro misteriose tradizioni che,  tra sacro e profano, rasentano la superstizione.

L’autore ha saputo mirabilmente presentare con spaccati che conferiscono al testo anche le caratteristiche di un romanzo storico: la prima guerra mondiale, il primo dopoguerra, il fascismo, la seconda guerra mondiale, le quattro giornate di Napoli, la resistenza, la ricostruzione, il periodo del boom economico, le speculazioni edilizie, le attività malavitose, il colera, il terremoto e la ricostruzione.

Le ambientazioni sono eccezionali e la ricostruzione storica è frutto di un’accurata ricerca e documentazione, nulla è lasciato al caso e il lettore si ritrova egli stesso a vivere i momenti descritti: dall’assistere alle trasformazioni edilizie di quartieri collinari dove una volta c’era solo campagna al gustare il ragù della domenica, all’assaporare uno spumone o una fetta di migliaccio ad una corsa su una vespa dopo una partenza all’americana, dal vedere i motoscafi blu dei contrabbandieri di sigarette solcare velocemente il mare azzurro del golfo all’aspirare voluttuosamente le “rosse”. “L’odore del ragù rimase ancora un po’ nella grande sala, poi fu sovrastato dalle fragranze del soffritto e delle tracchiulelle rosolate ben bene da Carmela. Ogni tanto qualcuno si schienava sulla sedia e faceva i complimenti alla cuoca… ma parevano parole posticce, strappate a stento alla cura che riponevano nel risucchiare le pietanze dai piatti che li attiravano come fossero calamite”.

Non mancano episodi o descrizioni di condizioni che invitano a riflettere: la percezione di una donna che decide di diventare medico negli anni ’30-’40, il pestaggio di un ragazzo ebreo, forme di bullismo, introspezioni psicologiche. Così come non mancano momenti che ti prendono emotivamente “Mi sporsi nella stanza. Il nonno era steso, respirava facendo una specie di rantolo, mi allontanai mentre gli occhi mi pungevano per le lacrime che cercavo a tutti i costi di trattenere” o dove il laccarsi le unghie dei piedi acquista una forte valenza sessuale “Il colore rosso dello smalto che depositava con totale dedizione sulle unghie del suo piede destro attirava i miei occhi come una stregoneria…”

Innumerevoli sono le citazioni da sottolineare ed è veramente imbarazzante fare una scelta. La casa di Posillipo ti arricchisce culturalmente e ti lascia qualcosa dentro, nutre la tua anima di belle emozioni e immagini vivide. E’ un romanzo intriso di amore e coraggio di rara bellezza per i contenuti, per la struttura e per il registro linguistico, da rileggere di tanto in tanto per scoprirne nuovi insegnamenti e piccoli angoli di vita della città partenopea con le sue contraddizioni e sofferenze di cui Tonino, il personaggio che suscita sentimenti forti nel lettore, ne è l’emblema.

 

Daniela Vellani