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Ad Aversa, ai Magazzini Fermi, nella serata di venerdì 30 marzo, ha avuto luogo un favoloso concerto di Katres, artista dalle mille risorse.
La voce di Katres (al secolo Teresa Capuano) possiede un timbro molto particolare, rendendo il suo stile unico nel panorama musicale italiano. La musica che risuona all’interno dei Magazzini è molto acustica e coinvolge tutti i presenti che si accalcano verso il palco.
I brani eseguiti sono tratti dall’ultimo album Araba Fenice e dal precedente Farfalla a valvole, così lo spettacolo è stato un intrecciarsi di testi che hanno ripercorso la carriera di un’artista che davanti a sé ha un lungo cammino promettente.
Prima della sua esibizione, abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con lei:
Perché il nome “Araba Fenice”?
In questo disco volevo raccontare una rinascita, quindi ovviamente questa immagine della figura mitologica dell’Araba Fenice mi affascinava tantissimo ed è nata prima l’idea del titolo e poi del disco in sé. Avevo intenzione di scrivere dei pezzi che parlassero di un particolare momento della mia vita e quindi raccontare una rinascita, farlo attraverso questa immagine grandiosa: partire dalla distruzione e rinascere più splendente di prima.
“Araba Fenice” è una rinascita e un cambiamento. Personalmente come lo intendi?
Nel momento in cui attraversi il fuoco ti senti disperato, senti di non farcela, ma proprio lì riscopri un coraggio che non sapevi di avere, una forza che non pensavi di avere. Ogni caduta, come dico anche in un pezzo, è un passo, anche se debole, verso la risalita. E questo è quello di cui volevo parlare: ogni caduta, ogni delusione, ogni sconfitta, in realtà sono i tasselli principali che ci permettono di essere delle persone migliori.
“Come un’onda” ripercorre con nostalgia il passato. Come vivi il passato?
Lo vivo assolutamente bene. Il passato, certe volte, appare intriso anche di cose che ci hanno fatto soffrire, però vedo che sono cose necessarie che ti permettono di crescere. Cerco di andare avanti e di far sì che il passato abbia un senso, magari il non ripetere gli stessi errori e anche, allo stesso tempo, non rimanervi imprigionati; fare in modo che il passato sia un bagaglio piuttosto che un peso o un qualcosa da cui non riusciamo a separarci.
Il passato lo vedi come un qualcosa di bello che c’è stato, pensi più al presente o al futuro?
Assolutamente al presente. Il futuro sì, ovviamente ci penso è normale. Però spesso capita di immaginare un futuro diverso da ciò che poi appare. Penso che il presente sia invece un passo verso il futuro, ogni giorno.
“Araba Fenice” invece è la rinascita compiuta. Sei un tipo che cambia facilmente o che resta stabile sulla propria idea?
Resto stabile sulla mia idea no, sono molto aperta al cambiamento e al cambiare idea se mi accorgo che la mia idea passata magari è sbagliata in qualche modo. Non penso di essere una persona ancorata a delle idee che devono essere così e non possono essere differenti.
Parlando invece della tua musica: cosa cerchi di esprimere attraverso i tuoi brani?
I miei brani nascono da una necessità mia personale di esprimermi o comunque di raccontare un qualcosa che ho vissuto o che sento il bisogno di voler comunicare. Neanche me ne rendo conto, delle volte inizio a scrivere senza neanche pensare “Ok, oggi scriverò una canzone” e mi ritrovo poi con queste canzoni tra le mani.
A quali sonorità t’ispiri?
Ascolto tantissima musica, sicuramente la wall music mi ha sempre ispirata tantissimo, soprattutto la musica popolare, sia napoletana che siciliana. Poi ho ascoltato sempre di tutto, per citare degli artisti, ad esempio sono cresciuta ascoltando i Beatles, ma amando anche personaggi come David Sylvian, David Byrne, o Noah; di italiani Ornella Vanoni. Quindi ho sempre ascoltato davvero tutto. Però se devo dire che sento delle influenze forti nella mia musica, sicuramente sento quelle popolari.
Ascoltandoti, mi viene da dire che hai una voce elegante, dolce. Sei realmente così o ti senti, non so, rockstar ad esempio?
Rockstar assolutamente no. Non so realmente inquadrarmi. Se devo dirti che io sono rock, indie, pop, non sento di essere nulla di tutto ciò. Se mi devono inquadrare in un genere, non sono nulla di tutto questo. Ho cercato di avere unicità nel mio genere, di trovare un linguaggio che fosse solo mio: sia attraverso il suono della chitarra che l’uso della voce. Non saprei identificarmi in realtà: scrivo canzoni e mi piace chiamarle così. Non mi piace chiuderle in un genere.
Hai aperto le date dei concerti di Ermal Meta, che rapporto hai con lui?
Con Ermal è andata benissimo. Lui è una persona molto disponibile, aperta e questo ha sicuramente fatto sì che si aprisse tra di noi un rapporto amichevole e positivo. Poi lui è una persona molto generosa perché comunque, permettere ad un altro artista di stare sul tuo palco e condividere lo stesso pubblico, non è da tutti. Invece lui l’ha fatto non solo con me ma anche con altri due artisti, che aprivano spesso i suoi concerti. Questo è indice di grande generosità. Ermal Meta è un grande artista, una persona che non si è mai risparmiata, ha fatto una grande gavetta, quindi anche solo stargli accanto è un grande insegnamento.
Così come con Ermal, quale artista vorresti conoscere per una collaborazione?
Sì, ci sono degli artisti con i quali vorrei lavorare. Magari se devo nominare qualcuno, direi il pianista Chilly Gonzales, mi piacerebbe molto lavorare con lui. Come personaggio italiano, mi piacerebbe Loredana Berté.
Non possiamo non augurarle il meglio: un’artista come poche, umile e con tanta voglia di produrre buona musica!
Roberta Fusco