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Elio Germano, con l’accompagnamento musicale di Teho Teardo, il 28 aprile ha messo in scena al teatro Bolivar di Napoli, lo spettacolo “Il sogno di una cosa” tratto dal romanzo di esordio di Pier Paolo Pasolini. Elio Germano, uno dei talenti più versatili del cinema italiano, si è distinto anche per la sua capacità di coinvolgere ed ipnotizzare il suo pubblico in un viaggio emozionante attraverso la storia e la cultura. Con la sua voce calda ed intensa, trasporta gli spettatori nella realtà rurale del Friuli-Venezia Giulia, offrendo uno sguardo profondo e drammatico su questo territorio.
Siamo nel 1948, con la Seconda Guerra Mondiale ancora viva nei ricordi, la popolazione lotta per emergere dalle macerie del conflitto. La mancanza di risorse e di opportunità rende la vita difficile per molte persone. Si apre il sipario, e sul palco, dove solo i giochi di luce intermittenti e la musica ipnotica di Teho Teardo catturano l’attenzione, Elio Germano introduce i tre giovani protagonisti: Milo, Nini ed Eligio. Figli di braccianti, condividono una forte voglia di riscatto e di ammirazione per gli ideali del comunismo, che spingerà due di loro ed emigrare in Jugoslavia, lasciando la propria terra.
Lo spettacolo racconta la storia di questi tre giovani friulani che alle soglie dei vent’anni, affrontano le prove e le sfide della vita: dalla povertà alle lotte dei contadini, dall’emigrazione al sogno di una vita migliore altrove. Inizialmente desiderano la felicità e l’avventura, alla ricerca dell’illusione comunista, ma alla fine ritornano alla loro terra, dopo un viaggio tortuoso e doloroso, crescono e si rendono conto delle realtà politiche, diventando più consapevoli e più ancorati alla società del tempo.
I loro sogni si trasformano in desideri più modesti e semplici: una vita tranquilla, un amore, un lavoro, non perdendo mai di vista la loro profonda e sincera amicizia.
È, appunto, “una cosa” che questi tre giovani, belli e sinceri, inseguono continuamente, ma non come un orizzonte lontano, una rivoluzione da fare chissà quando, ma nella semplice bellezza di ogni giorno e di ogni piccolo gesto. Ciò che questi personaggi dicono è esattamente ciò che pensano; tutto è trasparenza, non c’è mediazione, forse perché non possiedono quella malizia tipica delle menti abituate a pensare troppo. La vita, dalle loro parti, è veramente ridotta all’essenza: basta una bottiglia di vino, un’armonica e un po’ di gente per dare una svolta a una serata, a un pomeriggio; basta vedere l’ingiusta ricchezza dei proprietari terrieri per far loro decidere che è giunto il momento di agire, non per un ideale comunista del quale sono culturalmente coscienti, ma per un comunismo che hanno dentro loro stessi, una coscienza di classe che va al di là degli altisonanti discorsi politici.
È la morte di Eligio, causata da una malattia a lungo trascurata e provocata dal suo logorante lavoro nelle cave, a segnare l’ineluttabile passaggio alla vita adulta per questi personaggi pasoliniani.
La storia di Milo, Nini ed Eligio raccontata in un unico atto con intermezzi musicali di Teardo e il suono delle campane tubolari, dipinge un quadro oscuro sconfortante. Elio Germano mette in discussione l’idea che certe realtà siano solo ricordi del passato, nonostante il tempo trascorso dal dopoguerra al nuovo millennio. È plausibile pensare che le difficoltà vissute da Milo, Eligio e Nini siano storie del passato? L’Italia attuale garantisce davvero a tutti una vita dignitosa, indipendentemente dallo status sociale? E quanti lavoratori sono ancora esposti ai pericoli sul lavoro come Eligio?
Le intense domande e riflessioni suscitate dall’adattamento di Elio Germano e di Teardo dimostrano il loro merito nel mettere in luce un testo pasoliniano che continua a rivelare senza censure le problematiche della società italiana, nonostante siano trascorsi sei decenni dalla sua pubblicazione.
Come i tre friulani, i giovani italiani le cui aspirazioni e i cui sogni vengono costantemente interrotte dalle continue scelte politiche scellerate, mantengono viva la speranza di una società più equa, che si occupi di coloro che sono stati lasciati indietro e permetta ai lavoratori di sentirsi valorizzati dal proprio lavoro, anziché oppressi da esso.
Elio Germano e Theo Teardo sono così straordinari ed intensi perché portano in scena qualcosa di unico e coinvolgente. Pasolini è Pasolini, e la sua presenza è un richiamo naturale, una sorta di obbligo morale. Quando Germano, pur rimanendo seduto, lascia cadere i fogli uno per uno o suona la fisarmonica tradizionale, o quando Teardo, con il suo laptop e le campane, crea paesaggi sonori ed avvincenti, si riesce a percepire la profondità politica e profetica del testo. Il loro talento è sufficiente a catturare l’attenzione, per circa un’ora, del pubblico entusiasta in sala, e a suscitare emozioni senza bisogno di ulteriori spiegazioni.
Ersilia Marano
foto di Ersilia Marano