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Gli indignati dei social network (il popolo dei click)

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charlieDa un’analisi semiseria di ciò che condivide la popolazione sui social network, emerge prepotente una nuova moda: indignarsi! Non che prima gli italiani non avessero modo di farlo, ma ora ci si indigna tutti assieme, tutti per il medesimo argomento, e nascono le fazioni: gli indignati, i difensivisti e quelli che ne resterebbero volentieri fuori perché il loro buon senso gli dice di farlo, ma la passione, quella vera, seppur sedata, ad un certo punto, gli impedisce di trattenersi. Questi ultimi, spesso impassibili, perché consapevoli di cosa significa indignarsi, fare parte attiva dopo l’indignazione, già sanno che comunque vada a finire è una moda passeggera, che la metà di quelli che si indignano non sanno di che parlano e l’altra metà, il giorno dopo, l’avranno dimenticato. Sono quelli che si sono spesso trovati soli ai banchetti per le raccolta firme, che quando alle lamentele hanno provato a dar seguito coerente, fattivo, hanno visto gli sfortunati sgattaiolare a cercare soluzioni per vie collaterali ai propri problemi. Sono coloro che hanno veduto i volontari, quelli veri, occuparsi, con tempo ed energie, di quelle realtà disagiate laddove lo Stato non arriva.

Il tempo di condividere un link, questa è la forza delle nostre idee, dell’indignazione del popolo del web italiano. Se prima ci si limitava ad utilizzare Facebook per scambiarsi info utili, poi cose carine, per passare alla preparazione della lasagna e la vacanza in famiglia, fare acchiappanza con selfie e  bocca a cuore, quindi principalmente svago, ora, anche chi non ha mai letto un quotidiano (il Corriere dello Sport non conta)  e a stento ha sfogliato qualche romanzetto o rivista di moda, vuole darsi un taglio più impegnato, condividere gli aforismi di filosofi e autori mai letti non basta più. E così mentre siamo, oramai dal 2007, in piena crisi economica e non sappiamo quando ne usciremo, mentre il PIL indica continuamente decrescita, mentre imperversano guerre, attentati, terremoti, l’opinione pubblica sui social, che poi è specchio di un sostanzioso spaccato della società, imperversa infuriata, ma sugli argomenti più disparati e frivoli! Ci si trova divisi fra i pro e  contro il divieto burkini. Chi non ha mai avuto bambini e non sa nulla di genitorialità straparla sul diritto o meno di adozione per i gay, tutti contro il gaypride, il familyday, il fertilityday. Così come  il terremoto diventa terreno di scontro per gli xenofobi, una vignetta di Charlie Hebdo fa inferocire gli italiani che erano tutti Charlie, senza sapere chi fosse Charlie e, probabilmente, i più non conoscevano neanche cosa fosse la satira e la libertà. D’impeto, senza approfondire, si guarda una vignetta e ognuno può e vuol dire la sua. E la dicono, in tanti! Ed ecco che le pagine iniziano a vomitarci fiumi di opinioni di arrabbiati cronici, visioni bislacche di come dovrebbe essere il mondo secondo loro, il tutto pericolosamente mescolato alla vera informazione, alle critiche di intellettuali veri, che possono suggerirci, almeno, suggestioni frutto di conoscenze di ampio respiro. Idiozie megagalattiche (emblematica gli immigrati negli hotel di lusso e i terremotati nelle tende ) diventano pericolosamente un inno per tanti sempliciotti, affascinati nel riconoscersiin quell’idea, nel sentirla vicina, populista appunto, e l’idiozia circola fino a diventare assioma, una campagna per moderni Don Chisciotte, cavalieri per qualche ora. Così accade che sul web, sui social, non ci si diverte più ma neanche ci si arricchisce di cultura vera, si resta impigliati in pensieri di scarso contenuto, stagnanti, come in una stanza dove non si ricambia l’aria da tempo.

Chissà cosa penserebbe oggi Gramsci, che odiava gli indifferenti, di tutti questi indignati per un giorno, per cause in cui non si sono mai spesi. Se sapesse che gli stessi che parlano di libertà, di giustizia, di corruzione  poi saltano la fila con la scusa dell’amico allo sportello della posta, di quelli che grazie al fratello in ospedale prenotano senza attese, gli stessi che utilizzano il proprio savoir faire per avanzamenti sul lavoro a scapito dei più meritevoli. Sembra inopportuno scomodare un grande statista per queste piccole beghe da social network ma, a veder bene, anche la politica oggi si fa con un Tweet  o attraverso un profilo Facebook. E perché mai se tanti politici pensano di poter dare una svolta al paese attraverso una tastiera, non potrebbe illudersi la popolazione di aver dato un contributo utile per salvare il mondo, condividendo un post?

Lucia Dello Iacovo