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Napoli, al Chiostro di San Domenico Maggiore, Tina Femiano in “Anime Dannate”

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Parte la seconda edizione di Classico Contemporaneo, la rassegna teatrale inserita nell’ambito dell’estate a Napoli ed organizzata dal Teatro dell’Osso con la direzione artistica di Gianmarco Cesario e Mirko Di Martino, che sarà ospitata per due settimane al Chiostro di San Domenico Maggiore. Dodici spettacoli che partono da classici della drammaturgia (da Aristofane a Schmitt) attraverso riletture di registi che guardano alla contemporaneità, unica strada perché sia data immortalità ai testi rappresentati. Nella rassegna  saranno ospitate quattro prime assolute e tutti gli spettacoli sono in esclusiva nella programmazione dell’estate partenopea.

Si incomincia con la rilettura delle due figure materne raccontate da Eduardo De Filippo e Luigi Pirandello (i due maggiori drammaturghi del ‘900) da parte di Riccardo De Luca per l’interpretazione di Tina Femiano.

Martedì 18 agosto, presso il Chiostro di San Domenico Maggiore, il Teatro dell’Osso presenta Tina Femiano in  “Anime Dannate” 

Da “L’Altro Figlio” di Luigi Pirandello e “Filumena Marturano” di Eduardo

con musiche di scena da i canti di Sergio Bruni

con Tina Femiano   e  Francesca Fedeli

aiuto regia, Michele Romano

costumi, Giovanna Napolitano

disegno luci, Ciro Di Matteo

drammaturgia, regia e voce recitante   Riccardo De Luca

 Due storie di madri, Maragrazia e Filumena, sciagurate e terribili. “Sciagurata e terribile femmina” – scrive di Filumena Silvio D’Amico – che dopo essersi fatta sposare con un anello da un’amante egoista, si rifiuta di rivelargli quale dei tre figli di lei sia figlio anche di lui, e gli impone d’accettarli, con elastica fede, tutti e tre.” Come non scorgere Pirandello, dietro i funambolici, machiavellici giochi di Filumena Marturano. E come lei, anima dannata e potente madre è Maragrazia de “L’altro figlio”. Entrambe, prima come donne e poi come madri, in epico scontro con l’inferno.

La povertà delle due donne unita alla povertà dell’ambiente e degli uomini che le circondano è forza devastante e condizionante al massimo per le due esistenze. Nessuna delle due sarebbe stata quello che poi sarà – a teatro il passato non esiste – se non perché costrette da altrui volontà anch’esse dipendenti da altre costrizioni. “L’inferno” dunque, “sono gli altri”.

Ecco un altro incontro – tra i tanti, nelle pieghe della scrittura, nella trama della cultura, nei segni dei personaggi – tra Pirandello ed Eduardo. E un ideale scontro, tra i pochi, attraverso il confronto a distanza tra le protagoniste di queste due storie: la tragicomica Maragrazia e la drammatica Filumena. La crudelissima storia di Maragrazia che si specchia e si capovolge nella vicenda di Filumena. Perché Maragrazia è madre violentata e rifiutandosi persino di allevare e di riconoscere il figlio avuto, l’altro figlio – ritorna il sartriano infernale “altro” – imbocca la via dell’ automortificazione; e come curiosamente spesso accade a chi la imbocca, la spettacolarizza. I due figli nati precedentemente alla violenza diventano per lei oggetto di culto, ne fa infatti degli inetti. E quando questi emigrano e non danno più notizie, passerà il tempo a farsi fare inutili lettere da spedire ai due fuggiaschi e a ripudiare odiosamente l’aiuto che l’altro figlio le continua sempre a offrire, distruggendone la vita e automortificando la propria facendosi randagia, cenciosa, ripugnante, patetica, tenerissima morta di fame.

Filumena, come Maragrazia, prima subisce ma quando diventa madre, al contrario di Maragrazia che confonde e sostituisce il vero “altro”nemico sociale e umano con l’altro figlio, questa stessa maternità – poco importa se attraverso la Madonna delle rose o che – le darà la forza di reagire. Con astuzia, senza moralismi e persino con cinico istrionismo Filumena tenta d’imporre la “sua” verità; e lasciandola poi sedimentare, l’impone. Maragrazia nega convinta la maternità a l’altro figlio perché il suo sangue si ribella. E quindi istintivamente, selvaggiamente vive la terribile dissociazione della verità, perché anche lei – come tutti – ne ha una irrefutabile. E come Maragrazia pirandellianamente assurge a simbolo di una realtà nostra ancor oggi perduta nei mille rivoli delle verità diverse ecco che Eduardo con Filumena ci offre una via d’uscita – con valore dignitosamente autoaffermativa e non autolesionistica – che Pirandello e i suoi personaggi non hanno saputo o potuto trovare. La prima storia si concentra sulla spettacolarizzazione che Maragrazia stessa fa di sé, svelandosi, spiegandosi poi nel finale. Con lei dialoga e interagisce Ninfarosa, una spregiudicata donna che ha il compito di mettere a nudo le negatività del comportamento di Maragrazia e di tutta la loro sconfitta comunità di povera gente. Ludicamente, la multiforme Ninfarosa ha il compito – per contrasto – di fare apparire ancor più lugubre la vicenda dei conterranei, ché quando appare, drammaticamente, “pare che splenda il sole”. Non meno protagonista di Maragrazia, Ninfarosa è senz’altro il suo dialettico, ironico opposto e anche se fortemente reagente alle sue disgrazie, esce anch’essa probabilmente sconfitta in quanto senza quell’amore” di cui avrà dono Filumena, con cui riscattarsi e quindi sola, schiacciata da una comunità di sconfitti. Non é sola Filumena: la sua maternità é spinta e fonte per il suo stesso riscatto esistenziale. Contro la realtà e con violenza d’attuazione – ideale, quindi – per rialzarsi, combattere, esistere. Dice di Filumena Domenico Soriano, con disprezzo: “una donna che non piange, non mangia, non dorme!” al contrario di Maragrazia, che piange, piange, piange e mangia, avidamente, seppure resti di cibarie datole per carità, e non ha difficoltà a dormire persino per terra, per strada. Anzi è soddisfatta. Anima in pena e dannata – come Filumena – Maragrazia dà dunque spettacolo di sé. Anche Filumena lo fa ma in certo senso da regista fingendosi attrice, perché obbliga gli altri ad agire secondo i suoi intenti. Pirandelliana, eppure concretamente al di là della tragedia di Pirandello. In scena questi personaggi sono soli e a volte dialogano con altri personaggi che non vediamo e che sono dalla parte del pubblico. A volte dialogano con voce fuori campo; con i versi delle canzoni; con la voce registrata del cantante – affascinante e terribile andare in tono con il grande Sergio Bruni! – che diventa testo anch’esso. Questo crea un voluto isolamento dei personaggi e della loro personale storia che vorremmo si scrutassero come attraverso una lente d’ingrandimento: e che dall’inferno di queste acrobate dell’esistenza arrivasse un umano segnale.

Riccardo De Luca