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In occasione della Giornata Internazionale della Donna, il Centro per le Famiglie di Piacenza ha ospitato “La cura”, uno spettacolo di e con Barbara Eforo.
La Cura è un viaggio che mette a nudo le nostre fragilità, un lavoro che stracolma di poesia, a volte struggente, altre drammatica, altre di una dolce ironia disarmante. Un lavoro che dimostra la forza e l’intensità di un’ attrice capace di mettere in scena due donne, due personalità drammaticamente lontane e, allo stesso tempo, sorprendentemente vicine. Un’attrice che in un magico istante si trasforma: si fa fatica, pur essendole di fronte, a due passi, a capire come fa ad essere un momento l’una e un istante dopo l’altra.
Due donne cariche di dolore, piene di forza.
I dettagli (che non sono mai banali) sono carichi di un transfert “emotivo” con i personaggi; le pause, le smorfie sul viso, le parole che fanno fatica a uscire ma sempre misurate e studiate; i vestiti, facilmente riconoscibili, quelli che bastano ad “indicare” la persona…
Il pubblico che le è di fronte avverte tutto il duro lavoro, si emoziona, vive e, sicuramente rivive quelle scene. Tutti abbiamo ormai vissuto quel tipo di esperienza: una badante che ha assistito un nostro caro.
Lo spettacolo è sincero, è reale, è vero. Una storia che racconta di un’umanità che molte volte è difficilmente “rintracciabile”
Un’estranea che entra a far parte delle nostre vite, si prende cura di qualcuno che amiamo ma al quale non possiamo dedicare il tempo che vorremmo; lei cerca anche di migliorare la propria condizione in un Paese nuovo: racconta così, poco alla volta, il ciclo della vita, dall’infanzia alla fase adulta, all’inevitabile vecchiaia.
Barbara Eforo è coinvolgente, è possente nella narrazione, con un’eleganza e una raffinatezza rara, di questi tempi. Dinanzi a lei si dimentica la finzione teatrale, ed è subito magia.
Giustina Clausino
Sinossi
Incontro una badante. Si racconta a me con una sincerità disarmante.
Ascolto tutto. Anche i silenzi e i sospiri. Tutto.
I suoi tentativi di parole smozzicate sono la sua musica, le sue note.
Nella sua storia ci sono storie di bambine, donne, madri, vecchie.
Storie sedute vicino a corpi che invecchiano.
Storie di tutti noi, migranti in questo mondo di parole.
Impariamo a parlare per tentare di raccontarci. Con balbettii, farfugliamenti, lallazioni, pronunce fallite e silenzi obbligati. Chissà se poi davvero serve a qualcosa tutto questo.
Tutto questo imparare.
Tutto questo parlare.
(B. Eforo)
E nel momento in cui le parole escono a fatica ognuno di noi appare un po’ più bambino, un po’ più disarmato e vulnerabile.
È un lavoro che dura 50 minuti . 50 minuti in cui le immagini di una badante e di un’anziana si fondono e confondono. 50 minuti : pochi per raccontare una vita, eterni se ci si guarda negli occhi.