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Nella serata del 17 agosto, approda a Classico Contemporaneo: “Anch’io mi chiamo G” Con Maurizio Murano e la sceneggiatura e direzione artistica di Michele Bonè, Giorgio Gaber rivive nel Chiostro di San Domenico Maggiore di Napoli.
In un contesto intimo e raccolto che calma l’animo dello spettatore e concentra la sua attenzione sulla scena, Maurizio Murano compare sul palco nelle vesti di Gaber.
Non è il solito spettacolo di commemorazione, ma piuttosto una dedica sincera e un inchino, a chi ha fatto la storia del panorama musicale italiano.
Sono stati riproposti tutti i più grandi successi del cantautore milanese, da “La solitudine” a “La libertà”, per poi passare a “Quello che perde pezzi” fino a “Barbera e Champagne” con il quale è stata chiusa la serata. Tra i vari brani, vengono interpretati anche alcuni dei più famosi monologhi del cantautore milanese. Le pièces, ricche di espressione e coinvolgimento, sono state capaci di emozionare il pubblico e farlo ridere nel momento giusto, grazie anche all’ottima interpretazione.
Insomma, libertà, espressività, talento: le tre parole chiave della serata. Sul palco erano presenti anche Michele Bonè, che accompagnava la chitarra di Gennaro Esposito. I due hanno fatto da accompagnatori perfetti alla maestria di Murano. Si nota fin da subito il duro lavoro che ha preceduto la messa in scena e di come sia stato difficile salire sul palco con il peso del nome da rappresentare. Ma, in maniera sincera, possiamo liberamente affermare che tutto il lavoro è visibile sul palco e che Maurizio Murano ha omaggiato Gaber in maniera perfetta. È stato possibile vederlo con il pubblico (di tutte le età), il quale è stato rapito fin da subito, cantando ogni pezzo a memoria.
È un’emozione unica ritrovarsi in un contesto artistico dove lo spazio tra palco e pubblico si annullano grazie alla maestria dell’attore. Tutti vengono uniti in un unico coinvolgimento emotivo che li accomuna, e per questa serata, tutto esalta Giorgio Gaber. Persino i più giovani hanno avuto la possibilità di conoscere una parte della produzione del cantautore, che negli anni successivi ha influenzato gli artisti a venire. Per adempiere al fine di Classico Contemporaneo, le parole dei monologhi, come in questa serata, dovrebbero essere riprese e riportate nei contesti sociali che viviamo ogni giorno, estrapolando significati che apparentemente non appaiono. Ma, per essere più espliciti potremmo dire che: “C’è una fine per tutto e non vuol dire che sia sempre la morte”, che nel contesto sociale in cui viviamo, non può che essere la frase più adatta.
Roberta Fusco