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Nell’ambito di Maestri alla Reggia, una serie di cinque incontri con grandi registi del cinema italiano, organizzato dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli e la rivista CIAK, giovedì 4 maggio, nella cappella Palatina della Reggia di Caserta il regista Gianni Amelio, si è raccontato, intervistato da Alessandra de Luca e dal pubblico che ha voluto approfondire il suo cinema.
Gianni Amelio è dietro la macchina da presa dal 1970, realizza molti film per la TV ma entra nel cinema solo nel 1982 con Colpire al cuore. Il successo internazionale arriva con il film Porte aperte, del 1989, tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia, protagonista Gian Maria Volonté con la sua grande interpretazione e merita una nomination all’Oscar; vince altresì 4 premi Felix, 2 Nastri d’Argento, 4 David di Donatello e 3 Globi d’Oro.
In sala presenta il suo ultimo film: “La tenerezza”, al Cinema dal 24 aprile, con protagonisti Renato Carpentieri e le grandi interpretazioni di Elio Germano e Micaela Ramazzotti. Ed è proprio dai suoi personaggi che comincia Gianni Amelio, “i miei film possono avere tutti i limiti del mondo ma sono recitati bene” dice, e mostra il suo totale “innamoramento” per la Ramazzotti ed Elio Germano che definisce due fuoriclasse per l’eccezionale intensità della loro recitazione. Afferma con sicurezza di non essersi mai sbagliato nella scelta dei suoi protagonisti, “è come l’amore, quando c’è, lo senti.”
Il film è stato sceneggiato dal libro di Lorenzo Marone, “La tentazione di essere felici” ma il titolo di una pellicola, secondo Amelio, è una scelta che deve arrivare subito, non essere troppo suscettibile a fraintedimenti, errori e “La tenerezza” arriva perfetto, azzeccato, come quella riportata da Papa Francesco in una delle sue dichiarazioni ricordevoli. A chi in sala aveva letto il libro e gli chiede del film, chiarisce subito di non cercare Lorenzo nel suo film, che quel personaggio non gli appartiene e non avrebbe potuto raccontarlo, ma soprattutto la rappresentazione di Napoli è priva dei suoi colori, perché non è così che gli piaceva raccontare la città, il Vomero.
Il tema della famiglia, delle dinamiche dei legami affettivi, degli errori nelle relazioni è quello centrale, assieme alla solitudine e alla fatica di amare. Guardiamo durante l’incontro una delle sequenze più dure del film, una scena che tutti abbiamo vissuto nel quotidiano: un extracomunitario che durante un momento familiare di riposo al tavolino di un bar, insiste per vendere la sua merce. All’insistere ossessivo Elio Germano scatta violentemente, spintonando e allontanando il malcapitato. L’argomento si sposta sull’immigrazione, sul film “Il ladro di bambini” che pur ha avuto successo internazionale. Gianni Amelio si dichiara a favore dell’accoglienza, che però deve essere un fatto politico ben salvaguardato e organizzato, non quella affidata e lasciata alla cura del singolo cittadino.
A chi insiste sulla tristezza dei temi trattati dai suoi film ribadisce che lui racconta la vita così com’è e che, anzi, anche sulle parti più cruente che vi sono nel film, non si sofferma mai su scene esplicite, su di esse cala sempre un velo di pudore; infine pure da questo film non si esce invasi dalla disperazione della storia, ma rimane la speranza per i protagonisti che restano. Il capolavoro in assoluto del cinema italiano è, per Amelio, “Ladri di biciclette”, si proietta in sala la scena finale: Bruno che in lacrime prende la mano del padre disgraziato. In quel finale, dice Amelio, c’è una disperazione infinita, senza speranza. Ne “Le chiavi di casa” c’è il suo piccolo omaggio a quella grande scena, nel finale: Kim Rossi Stuart confortato dalla mano del figlio disabile. Ha scritto persino un saggio, Gianni Amelio, su quel che rappresenta quella mano salvifica, folgorato da tutto il significato recondito di quel gesto, di quella scena: “La mano di Bruno”.
Lucia Dello Iacovo