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Viviamo in una società globalizzata e consumistica, dove la ricerca del lavoro e la rincorsa al successo, appaiono il gradino finale della realizzazione. La scelta della carriera giusta che dia più introiti è fondamentale per chi punta ad un futuro con meno pensieri possibili. Tuttavia, nella formazione di nuovi lavoratori, la scuola spesso non riesce a dare il contributo necessario per un totale indirizzamento delle giovani menti. Spesso i ragazzi che escono da scuola non sono ancora certi del proprio futuro, aumentando in loro il senso di smarrimento che arieggia in quest’epoca. Avere le idee chiare sul proprio futuro, non è un privilegio per tutti, a causa dei motivi più disparati, quali possono essere economici, personali o sociali. In quest’ottica, i progetti extra-scolastici d’indirizzamento possono rappresentare un’integrazione alla formazione dei ragazzi, rianimando la loro quotidianità e stimolando loro la creatività.
Questo e molto altro è uscito fuori da un’intervista telefonica con Pino Miraglia, cofondatore di “Periferia Giovane”. Con la cooperazione de “La Gioiosa”, il progetto nasce in risposta al bando della presidenza del Consiglio “Giovani per il Sociale 2018”, attuandosi in una serie di corsi formativi indirizzati a giovani inoccupati o a rischio esclusione in età compresa tra i 14 e i 35 anni che vivono nell’Ottava Municipalità di Napoli. Concretamente, i ricchi corsi di formazione si attuano per la formazione professionale e creativa dei ragazzi, insegnando loro le tecniche per esplorare le possibilità offerte da un mondo ricco d’opportunità e di cose da dire.
Partiamo dall’inizio, ho letto del progetto ma voglio sentirne parlare da chi è dentro di esso. Come nasce “Periferia Giovane” e come si articola?
Periferia Giovane è un progetto elaborato da me e dalla cooperativa “La Gioiosa” in risposta a un bando della presidenza del Consiglio, per Dipartimento delle politiche giovanili e servizio civile universale. Il bando è “Giovani per il Sociale 2018”, il quale chiedeva di sviluppare un percorso progettuale per i giovani, atto all’inclusione sociale, a dare opportunità di formazione sociale, al fine anche di rinvigorire l’attività extra scolastica. Nel 2018 quindi abbiamo sviluppato e consegnato il progetto, composto da una serie di corsi professionalizzanti. Abbiamo ad esempio un corso di informatica, al termine del quale rilasciamo un certificato E-pass importante per i più giovani. Poi c’è un corso di fotografia di 150 ore realizzato da me; quattro laboratori sulla cultura hip-pop; un laboratorio di drammatizzazione teatrale; due rassegne cinematografiche nelle scuole partner del territorio; e inoltre, due eventi di Jam che si terranno uno in piazza a Piscinola e l’altro nella metropolitana di Scampia. Da non dimenticare che il progetto è finalizzato ad un territorio specifico, ovvero all’Ottava municipalità, che comprende i quartieri di Scampia, Piscinola, Marianella e Chiaiano, dove secondo il bando, si offre l’elaborazione del progetto per giovani dai 14 ai 35 anni, a rischio di esclusione sociale, o giovani inoccupati, o comunque chi ha bisogno e non può accedere alle attività extra scolastiche.
L’offerta proposta sembra davvero ampia, i corsi non sono per nulla pochi.
Sì sono tanti ma il progetto deve comunque essere sviluppato in 18 mesi. Certo, detto francamente abbiamo avuto dei problemi, non rispetto al progetto, ma a causa della pandemia abbiamo dovuto ritardare le attività. Per esempio, dovevamo colloquiare con le due scuole partner, l’ITIS Galileo Ferraris e l’ISIS Vittorio Veneto, le quali sono in emergenza fino al 31 dicembre, quindi non possiamo andare nelle classi a pubblicizzare il progetto. E considera, il corso di teatro o le due rassegne di cinema, con tema le dinamiche sociali, sono attività che vanno fatte nelle scuole. Per ora, sono cose che stiamo un po’ congelando.
Ci sono quindi differenze tra il progetto e l’organizzazione iniziale che vi siete posti e l’effettiva realizzazione, a causa del Covid?
Sì, certo, noi cerchiamo di rispettare il crono-programma, dove distribuiamo le attività in diciotto mesi. Anche se modificabile, cerchiamo di rispettarlo anche se è difficile farlo al 100%. Ad esempio, nonostante facciamo i corsi nella struttura della Gioiosa, che fortunatamente è una struttura abbastanza grande, non è possibile mettere 15 studenti in un’aula come prima del Covid. Quindi, anche il corso di informatica previsto per 15 ragazzi, per il quale abbiamo avuto anche più adesioni, è stato diviso in due sezioni, una il martedì e l’altra il giovedì. Ma va bene, stiamo andando bene.
Con la giusta organizzazione le difficoltà si riescono a raggirare. Il Covid è stata la prima prova, ma dato il tempo così lungo, quali sono gli obiettivi posti all’inizio del progetto e quali state riuscendo a compiere ad oggi?
Da preannunciare, che non sono nuovo di questi progetti, lo stesso bando io già l’ho fatto anni fa, a Forcella, allo spazio di Annalisa Durante. All’epoca con “Percorsi d’arte” fummo il motore che ha dato vita a quello spazio, con il progetto che affianca Giovani per il sociale, “Giovani per i beni pubblici”, che prevedeva attività svolte all’interno di un bene istituzionale o comunale da valorizzare. Tornando al progetto, in generale, i problemi che abbiamo avuto per far partire il bando sono in primis di carattere burocratico. Abbiamo presentato il progetto a febbraio 2018, ricevendo la risposta di finanziamento a settembre 2020. Un bel po’ di anni dove ovviamente cambiano tante cose. Poi mentre prepari, prendi i contatti, fai le convenzioni, abbiamo quindi iniziato le attività preparatorie a marzo del 2021. Quindi, i problemi che abbiamo avuto sono il ritardo di 3 anni, riorganizzarsi, riprendere le file di un pensiero e di una progettualità scritta tre anni prima, e poi il Covid che ci rende la vita difficile nell’acquisire utenti che frequentino i corsi. Diventa più faticoso perché vorremmo sviluppare il progetto diversamente ma sta andando bene. Il corso di rap e canto dove abbiamo 9 ragazzi su 10 che frequentano, il corso di informatica, cominciato da poco e va benissimo e a breve inizio io il corso di fotografia. Poi dobbiamo ancora lanciare i due corsi legati all’hip-pop e queste attività da lanciare nelle scuole. Se non riusciamo, troveremo una soluzione per mantenere le attività ma altrove, magari alla Gioiosa. Siamo subordinati all’emergenza Covid ma ci riusciremo.
Restando nell’ottica degli obiettivi, sembra che stia andando bene. Nonostante le difficoltà, è un presente roseo, quindi immagino che gli obiettivi futuri siano dei più prosperi?
Sì, assolutamente. Considera che nel progetto sono coinvolti un bel po’ di giovani sia come fruitori che vengono a seguire i corsi, sia abbiamo il 70% di giovani al di sotto dei 35 anni che sono attuatori del progetto, con un numero cospicuo di donne. Il 90% dei docenti dell’hip hop sono al di sotto dei trent’anni e tra l’altro, sono anche certi nomi. Abbiamo Donatella Donix, di La Pankina Krew; Dj Uncino, che è anche il dj di Luchè; Oyoshe, un giovane rapper campano di 30 anni che ama stare con i ragazzi. Ma abbiamo anche una serie di ospiti che terranno lezioni speciali, come Lucariello, Speaker Cenzou, Rossella Esse. Quindi niente, dobbiamo man mano snocciolare gli altri corsi. Importante, sarà alla fine del progetto produrre un output, che consisterà in un album che racchiuderà le foto di coloro che hanno partecipato al corso di fotografia, i disegni che hanno fatto i laboratori di writing e ci sarà un cd di dieci tracce coi pezzi prodotti dai ragazzi, con l’aiuto dei docenti e delle guest.
Gli ospiti infatti non sono da meno e mi sono sorpresa di ciò. Penso che sia fondamentale per chi si approccia a questo mondo, entrare direttamente a contatto con chi sa bene cosa sia la cultura hip hop, sia in ambito creativo ma anche lavorativo.
Abbiamo puntato molto sulla cultura hip hop. Personalmente, sono un operatore culturale e fotografo, e in passato ho fatto un libro insieme ad un amico fotografo, sull’hip hop campano chiamato “Core e lengua”, quindi so bene di cosa sto parlando dato che il lavoro è durato tre anni prima della pubblicazione del libro. La cultura hip hop è molto delle periferie, nasce in esse. L’impeto dell’hip hop napoletano è molto di periferia.
Al giorno d’oggi, non molti giovani sanno che l’hip hop è un genere di lunga data fondato su pilastri ideologici ben precisi. In una lunga evoluzione del genere, non credi che sia utile che i giovani conoscano cosa ci sia alla base della cultura madre?
Pessimisticamente sta succedendo il contrario. La cultura hip hop campana è contaminazione e derivazione dell’hip hop americano, ovvero parlo di tutta quella vecchia scuola dell’hip hop campano che si rifaceva a quei valori, ad una serie di artisti da 2pac a Lauren Hill, ma anche come filosofia, con i murales. Io credo che ora ci sia una regressione, nel senso che ora è entrata in ballo la trap e tutti i giovani non hanno più la passione per l’hip hop. Se prima si pensava a cantare senza importarsi del successo, ora è tutto finalizzato ad esso e non nasce più solo come passione. Secondo me, sta anche perdendo un pochino il suo valore culturale perché si va troppo veloci, si è perso l’impeto del cuore che ti faceva dire “Vediamoci giù al muretto e facciamo rap”.
Difatti, sono concorde. I vecchi valori non sono più i medesimi e mi piace l’idea che con “Periferia Giovane” i ragazzi possono entrare in contatto con qualcosa che vada ben oltre l’immaginario social e consumistico proposto alle spalle del genere, ma che si faccia un certo ritorno alle origini.
Le tracce ci sono ancora, tralasciando il blocco a causa della pandemia, ma questa espressione dell’hip hop come linguaggio sociale che racchiude le quattro discipline quali dj, writing, rap e break dance, le trovi anche in Jam che ogni anno si svolgono in una serie di quartieri di Napoli. Quindi c’è ancora questo barlume d’incontrarsi, sfidarsi in battles, di dipingere murales. Il nostro progetto infatti prevede due Jam, abbiamo già individuato forse i posti giusti dove svolgerle.
Sei un fotografo che si ispira alla musica anche, che segue le tendenze dei giovani dagli anni 80. Hai quindi una responsabilità maggiore in questo progetto.
Il progetto l’ho sviluppato anche attraverso un mio sapere e concetto di frequentazione con i giovani. Il problema è coinvolgerli ma io so cosa piace ai giovani, come al di fuori della scuola, so che c’è una fetta di giovani che è interessata all’hip hop, oppure all’informatica o alla fotografia. Anche la fotografia ha preso questo lancio, magari ad oggi tutti si sentono fotografi. Io che sono del settore, ho realizzato un corso di 150 ore diviso in due parti, uno base e uno avanzato dove si elaboreranno dei progetti. Insomma, sono una serie di attività che oltre a dare una possibile indicazione su un percorso futuro, fondamentalmente aprono la mente. Cerchiamo di dare delle conoscenze per uscire fuori dal piccolo mondo di periferia, di quartiere, o semplicemente da casa. I giovani hanno bisogno di sprovincializzarsi, di uscire fuori, di vedere che il mondo è grande e c’è un posto anche per loro.
Penso che questo sia il punto fondamentale…
Sì, il punto fondamentale è questo. Non è solo il trovare il lavoro, ma avere una serie di conoscenze che facciano andare oltre, in questo piccolo mondo in cui siamo immersi nel nostro quotidiano. In più, cerchiamo di offrire un bagaglio di conoscenze che possano far capire a quale lavoro si è più portati. Una cosa importante è che il bando prevede anche un modulo di formazione sull’insegnamento ai ragazzi su che cos’è la Comunità Europea, con nozioni lavorative e amministrative. Piccole informazioni che possono aiutare in maniera radicale i giovani.
Quello offerto ai giovani appare un percorso completo: non solo tecnico, con tanto di rilascio di certificati; non solo formativo a livello personale, con la ricerca della propria creatività, ma anche una formazione di tipo tecnico lavorativo.
Esatto, cerchiamo di dare la base per scegliere un possibile futuro lavorativo ma contemporaneamente diamo conoscenze per allargare la mente. Anche il corso di teatro, per esempio, prende il nome di “Storie” e sarà una drammatizzazione sui ragazzi, sul loro sé, la loro vita. Al termine del corso infatti, i ragazzi dovranno scrivere dei monologhi e racconti in cui dovranno parlare di sé implicitamente o esplicitamente, come una storta di psicodramma. Difatti nella mia idea di progetto, i docenti stanno seduti e i ragazzi dovrebbero stare lì a raccontare.
Abbiamo parlato tanto dei corsi ma dall’altra parte, i protagonisti del progetto, i giovani, come li vedi, sono partecipi?
Quelli di rap e canto, sono stra-felici. Anche chi non sa cantare o i più timidi, Donatella insegna loro delle tecniche per la voce. Chi invece non vuole farlo, si sofferma nella scrittura e composizione. Poi ovviamente hanno la possibilità di entrare a contatto con altri che condividono la loro stessa passione, venendosi a creare anche aggregazione. Con il corso d’informatica, anche lì, ci sono ragazzi entusiasti, non solo per il titolo e-pass che possono sfruttare largamente nel lavoro, ma anche per comprendere la reale funzione del computer, spesso usato limitatamente e non come strumento tecnico.
In generale, per il tipo di formazione che offrite, è fondamentale conoscere anche il pc. Ad esempio nella produzione musicale odierna, gran parte della produzione si fa attraverso il computer.
Come anche nella fotografia. Ad oggi non è più analogica, dove era il laboratorio a sviluppare il rullino, bensì ora ci sono una serie di foto sulle quali risparmi il costo del rullino, ma alle quali devi lavorare in post produzione sul computer. Un lavoro non semplice che parte dal momento in cui scatti, e che ingloba caratteristiche sul file, l’ampiezza, la qualità, la possibilità di essere stampata e così via. Il flusso di lavoro fotografico non può fare a meno della digitalizzazione. Anche solo i semplici formati devono essere compresi nel loro utilizzo. Oppure, sul web quali tipi di immagini sono adatti per risoluzione e grandezza file. Sono tutte informazioni tecniche che darò nel mio corso. Perché ovviamente la fotografia, oltre ad essere un pensiero, uno sguardo personale da esprimere al mondo, esce comunque fuori da uno strumento tecnologico: non posso fare a meno di sapere come funziona, perché è il veicolo che mi dà la possibilità di esprimere.
Oltre all’aspetto tecnico, dal punto di vista comunicativo, cosa vuoi trasmettere ai tuoi giovani iscritti?
In una prima fase, il mio obiettivo è far capire ai ragazzi come si fotografa, e quindi la conoscenza dello strumento tecnico. In una seconda fase, capire cosa è stata la fotografia, quali sono i progressi e i contributi sociali che ha determinato. Dopodiché, il terzo step è “Tu, perché vuoi fotografare? Cosa vuoi dire con la fotografia?”, e quindi, da questo punto di vista gli spiegherò che esistono diversi tipi di foto, dal reportage giornalistico a quella artistica. All’interno dei generi fotografici diversi, ognuno troverà la sua collocazione. Stiamo sempre lì, i giovani devono formarsi e avere delle conoscenze non relative, che possano arricchirli e aiutarli a cambiare il proprio percorso di vita. Ad indirizzarli, professionalmente e non.
Roberta Fusco