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Nato a Roma da genitori napoletani, classe 1972, con una carriera intensa, lunga e variegata, Luigi Iacuzio è un artista a trecentosessanta gradi con un’attività che spazia tra teatro, musica, cinema, cortometraggi e fiction tv.
In qualsiasi ambito artistico ha messo in evidenza talento ed eccellenza e non sono mancati consensi, riconoscimenti e il conseguimento di premi ambiti.
Il teatro costituisce il suo trampolino di lancio. A Castiglione Cosentino frequenta il DAMS e al contempo intraprende la sua formazione artistica presso il Teatro dell’Acquario di Cosenza che gli consentirà di entrare nella compagnia diretta da Massimo Costabile. Successivamente a Napoli prosegue il suo excursus formativo all’Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Bellini diretta da Tato Russo con la partecipazione a spettacoli e la nascita di collaborazioni artistiche importanti.
La formazione teatrale mette in luce una poliedricità artistica notevole e così nel 2003 con “Pater Familias” di Francesco Patierno e “Il cuore altrove” inizia la sua escalation nel mondo del cinema, partecipa a diverse fiction televisive come “Donne Sbagliate”, “Distretto di Polizia 11”, “Un posto al sole”, “Rex 5”, la seconda serie de “I bastardi di Pizzofalcone” e recentemente in quella di “Mina Settembre” e del “Commissario Ricciardi”. Inoltre svolge performance musicali suonando la chitarra, cantando e nell’ambito del cantautorato partecipa a con successo a festival e a concorsi.
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Nato a Roma ma con tanta Napoli dentro…
Nato a Roma per caso ma cresciuto a Napoli e quindi Napoletano dentro. Roma non mi è indifferente anche perché poi ci sono tornato a vivere da maggiorenne e ci sono rimasto fino ai miei 42 anni, l’ho conosciuta e me ne sono innamorato. Ma Napoli è magica e mi sento appartenente a questa terra. Ora sono di nuovo qui e l’ho esplorata maggiormente come mai avevo fatto prima. È una città unica e io faccio parte di questo popolo con orgoglio.
Fin da giovanissimo l’arte ha fatto parte della tua vita… quando è nato questo interesse?
In realtà la prima cosa per cui ho mostrato un certo interesse è stata la musica. Avevo un vecchio organo e un banjo che appartenevano a mio nonno paterno (Luigi Iacuzio) che mi incuriosivano e io ci giocavo. Poi ho comprato una tastiera e ho imparato a suonarla a orecchio, poi mi hanno regalato una chitarra a 18 anni e ho imparato anche quella, poi una batteria che suonavo a casa con buona pace dei miei genitori e del vicinato. Ma non pensavo all’attore o a fare il cantante. Ero stonato o non educato. Poi dal momento in cui mi sono iscritto al D.A.M.S. di Cosenza ho iniziato a capire che mi interessava questo mestiere e proprio lì ho iniziato a studiare recitazione al Teatro dell’Acquario per poi proseguire all’Accademia del Teatro Bellini di Napoli e a lavorare già dai tempi calabresi.
Tra i grandi dello spettacolo a chi ti sei ispirato maggiormente?
Non ho voluto mai ispirarmi a nessuno perché avevo paura di imitare, sono sempre stato affascinato da Al Pacino che poi ho conosciuto, un attore straordinario, semplice. Per quanto mi riguarda ho cercato una mia strada in base alle mie conoscenze e ai metodi che mi sono stati insegnati. Poi ho sempre cercato di usare la mia anima e la verità.
Chi sono i maestri determinanti nella tua crescita artistica e perché?
Prima di tutti c’è Massimo Costabile che è stato il mio punto di riferimento ai tempi del Teatro dell’Acquario, uno che ha fatto teatro da sempre, un uomo umile, preparato e che mi insegnato tanto. Gliene sono grato. Poi Tato Russo che mi ha insegnato il rispetto per questo mestiere che non tutti possono fare da un giorno all’altro: mi ha insegnato il sacrificio che serve per essere un attore, la tenacia e mi ha dato l’opportunità di calcare i palcoscenici dei teatri italiani e creare il mio bagaglio di esperienza. E infine Francesca de Sapio e Vito Vinci che mi hanno insegnato a scavare dentro, a usare la cruda emozione dell’anima profonda, ad usare le emozioni e metterle al servizio dei personaggi che si affrontano.
Avere una formazione teatrale completa è come saper guidare una Fiat 500 degli anni ’60 nel traffico cittadino degli anni’70: puoi guidare qualunque modello di automobile in ogni parte del mondo… e il teatro è stato il tuo “primo amore”… Sei d’accordo con la mia affermazione? E quanto il teatro è stato determinante nella tua formazione artistica.
Direi che una buona formazione teatrale ti permette di guidare ovunque ti venga chiesto di guidare, poi quando ti imbatti per la prima volta in strade diverse devi aggiustare poche cose per riuscire a non fare incidenti. Alla fine la patente teatrale ti permette di affrontare qualsiasi tipo di guida. Poi ci vuole un po’ di istinto, intuito e talento. Quindi il teatro per me è stato fondamentale. Assolutamente.
Un ricordo o un aneddoto legato al teatro Bellini di Napoli, un teatro innovativo, con cartelloni all’avanguardia, dalle ampie vedute e di grande spessore culturale.
Intanto il Teatro Bellini è casa mia. Sono così legato a questo splendido teatro. Beh, ricordo come fosse ora la prima volta che mi trovai, insieme ai miei compagni di accademia, sul palco del Teatro Bellini per l’allestimento del Masaniello il musical e durante un giorno di prove Tato Russo voleva assegnare una parte musicale a uno di noi. Chiese chi sapesse cantare. Io volevo farmi avanti ma ero insicuro. Alcuni miei compagni mi indicarono e lui mi guardò con aria curiosa e di sfida. Alla prima dello spettacolo, quando toccava a me, tremavo e guardavo il mastro d’orchestra col terrore di sbagliare l’attacco. Finalmente il cenno e ricordo che quando iniziai a cantare la mia voce era debole poi pian piano divenne più forte e ce la feci. Alla fine dello spettacolo incrociai lo sguardo di Tato Russo che mi guardò, senza dire nulla, con aria di approvazione ma non troppo. Allora dissi: È andata.
Il teatro ai tempi del Covid…
Il teatro aveva già parecchi problemi prima del Covid, perché nessuno ha mai combattuto per salvaguardarlo e per salvaguardare i lavoratori dello spettacolo.
Io già da qualche anno ho allentato la presa con il teatro. Dopo quasi 30 anni di carriera ho visto tante cose che non sono mai cambiate e credo che non cambieranno. Chi fa questo mestiere fa molti, moltissimi sacrifici che sono ripagati quando sei sul palco, quando agisci. Ma io personalmente quando finivo, uno spettacolo, una tournée mi sentivo “solo” e con la sensazione di dover ricominciare tutto daccapo. Ora, in questo momento il teatro non c’è. È stato ammazzato. Io spero che questo Covid possa portare a una profonda riflessione e una volta finito si possa tornare a fare Teatro, restituendo una dignità e un’importanza dovuta a questo mestiere e a chi lo fa. Il Teatro è necessario. Deve essere TUTELATO.
Luigi Iacuzio e la musica…
La musica è l’altro mio mezzo espressivo. Non ho studiato mai in modo approfondito la musica, ma l’ho sempre tenuta con me. Scrivo canzoni da sempre, in maniera molto semplice. Avrò scritto 300 canzoni forse. Molte restano tra me e i fogli su cui sono scritte, altre le ho incise, le ho fatte ascoltare e hanno anche vinto premi. Fa piacere. Mi piace scrivere e cantare. Scrivo canzoni anche per i bambini e mi piace molto.
Il tuo viaggio nel mondo della celluloide?
È iniziato a 30 anni Con “Pater Familias” il film di Francesco Patierno. Un film che porto nel cuore. Un modo diverso di lavorare rispetto al teatro, un modo affascinante. Da li poi ho fatto tanti altri film, per lo più, d’autore, di nicchia, non di cassetta. Mi piace ricordare “Una Notte” di Toni D’angelo (figlio di Nino), lì cantavo anche. Ultimamente ho girato un’opera prima che non può uscire nelle sale per colpa di questo maledetto virus.
A bruciapelo i primi tre nomi di film e di attori che ti vengono in mente!
“Il Padrino”, “Il Postino”, “Shining” / Al Pacino, James Franco, Giancarlo Giannini.
Recentemente sei stato protagonista di fiction televisive, ci racconti questa esperienza?
Precedentemente avevo già partecipato a lavori televisivi, un po’ con il contagocce perché preferivo il cinema. Ultimamente il livello qualitativo delle fiction televisive si è alzato e io fortunatamente sono stato scelto. Devo citare le ultime “In Punta di piedi”, “I bastardi di Piazzofalcone 2”, “Il commissario Ricciardi”, “Mina Settembre”. Le prime tre hanno tutte in comune il regista Alessandro D’Alatri. Uno con cui lavorerei sempre. Professionista e persona incredibile. Sono fortunato.
Ti abbiamo ammirato anche ne “In fondo al tuo cuore”, l’ultima puntata della serie del Commissario Ricciardi, , una fiction che ha fatto registrare uno share di ascolti molto elevato, intorno ai 6 milioni di telespettatori.
“Il commissario Ricciardi” è un prodotto che ha spaccato. I motivi? Quando un prodotto è tratto da romanzi come quelli di De Giovanni non può toppare, se poi ci metti un regista come Alessandro D’Alatri che è attento a non sciupare il valore letterario e descrittivo degli stessi e l’attenzione che mette nello scegliere gli attori e nel dirigerli, allora hai fatto bingo. La Rai è stata brava. Un successo. Ripeto sono fortunato.
I prossimi progetti?
Per quanto mi riguarda al momento è tutto fermo. Non ho notizie di provini di prossime produzioni. L’unica cosa è che sto aspettando che veda la luce il film per il cinema di cui parlavo prima. È un’opera prima di un regista napoletano, Guido Acampa. Un film sospeso e interessante. Speriamo bene.
Il sogno nel cassetto?
Mi ritengo un attore fortunato. Ho sempre lavorato. Ho lavorato con grandi attori e in grandi spettacoli. Ho lavorato con giovani autori validi. Ho lavorato nel cinema e in tv. Mi piacerebbe fare un western. Ma è un sogno appunto.
Un consiglio ai giovani che desiderano entrare nel magico mondo dell’arte.
Di non scegliere questo mestiere per fame di gloria o per essere popolari. Lo scelgano per amore e con la consapevolezza che serviranno serietà e sacrifici per farlo sul serio. E infine lo affrontino sempre conservando il bambino che c’è in ognuno di noi.
Grazie e un grande in bocca al lupo!
Grazie a te. Che mi porti al sicuro sempre.
Daniela Vellani