Napoli, al Teatro Bellini, è in scena “Atti osceni: I tre processi di Oscar Wilde”

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“Atti osceni” I tre processi di Oscar Wilde

di Moisés Kaufman

traduzione Lucio De Capitani

regia, scene e costumi Ferdinando Bruni e Francesco Frongia

luci Nando Frigerio

suono Giuseppe Marzoli

 

con  Giovanni Franzoni (Oscar Wilde)

Riccardo Buffonini (Lord Alfred Douglas/Narratore)

Ciro Masella (Marchese di Queensberry, avvocato Gill, procuratore Lockwood, Narratore)

Nicola Stravalaci (avvocato Carson, Giudice, Narratore)

Giuseppe Lanino (avvocato Clarke, narratore)

Giusto Cucchiarini (George Bernard Shaw, Giudice, Sidney Mavor, Narratore)

Filippo Quezel (Frank Harris, Alfred Wood, Banditore, Narratore)

Edoardo Chiabolotti (Wright, Giudice, Charles Parker, Regina Vittoria, Narratore)

Ludovico D’agostino (Atkins, Narratore)

 

produzione Teatro dell’Elfo

 

 

Il grande autore irlandese è stato al centro di molti progetti ideati dalla coppia registica dell’Elfo, a partire da una sensuale Salomè tutta al maschile, per passare all’ironia sferzante del Fantasma di Canterville, fino all’intramontabile Importanza di chiamarsi Ernesto.

Atti osceni aggiunge un tassello inedito all’indagine che Bruni e Frongia stanno compiendo nell’opera di questo scrittore notissimo e, proprio per questo, ancora tutto da scoprire. Il testo di Moisé Kaufman porta in scena Oscar Wilde stesso, raccontando la sua vita e in particolare i tre processi che lo coinvolsero nel 1895. E lo spettacolo riesce a restituire un ritratto a tutto tondo della personalità artistica e umana di questo soave e impietoso fustigatore di tutte le ipocrisie e a comporre un affresco di una società come quella vittoriana, epitome di tutte le società ipocrite.

Al centro della rappresentazione vi sono dunque un’aula di tribunale e un serrato dibattito giudiziario, ma la scrittura di Kaufmann riesce a travalicare i confini di un’appassionante ricostruzione storica per trasformarsi in un rito teatrale in cui si parla di arte, di libertà, di teatro, di sesso, di passione e in cui si aprono squarci poetici e incursioni commoventi nell’opera del poeta. Così il processo a Wilde diventa il processo a qualunque artista proclami con forza l’assoluta anarchia della creazione.

 

Nove interpreti compongono il cast, provenienti da diverse esperienze teatrali ma tutti ugualmente impegnati nel portare in scena un testo che chiede la capacità di farsi “narratori” e nel breve volgere di qualche battuta “personaggi”, di passare dal rapporto diretto col pubblico alla ricostruzione di un altro luogo e di un’altra epoca: Giovanni Franzoni, Ciro Masella, Nicola Stravalaci, Giuseppe Lanino, Riccardo Buffonini, Giusto Cucchiarini e i giovani Edoardo Chiabolotti, Ludovico D’agostino, Filippo Quezel.

 

 

Dalla rassegna stampa

 

Il valore di un conflittuale e commovente testo come Atti osceni è quello di documentare l’ipocrisia benpensante di un’opinione pubblica che osteggiò Wilde anche a dispetto del grande successo delle sue pièce. Noi spettatori siamo in un’aula di giustizia, alle prese col contenzioso legale nato dall’affronto che Lord Queensberry, il padre di Bosie, il ragazzo amato da Wilde, riserva allo scrittore, indirizzandogli un biglietto inequivocabile (“Oscar Wilde si atteggia a sodomita”), al quale il dandy reagisce con querela il cui effetto non tarda a ritorcerglisi contro, per via di compromettenti giovinastri chiamati in causa a riferire dei loro pregressi rapporti mercenari con lui. La dignità, l’arguzia, lo spirito socratico con cui il Wilde magnificamente impersonato da Giovanni Franzoni (capace di flemma, e fulminei aforismi) s’imbatte in queste marchette assurte a “testimoni della regina” sono un pregio del copione che Kaufman ha ricavato da verbali e da opere wildiane come il De Profundis, o la poesia La Casa del Giudizio. Le deposizioni in tema di “pratiche innaturali” ma anche la qualità della bellezza con echi di sonetti shakespeariani, i retroscena impavidi dello scrittore che non accetta mai di espatriare e che si sottomette a una colpevolizzazione politica, invocando l’amore che non può pronunciare il proprio nome, tutto è governato dall’umana, etica regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, un platonico presidio per la libertà d’espressione. Facendo leva su un cast di attori interpreti di più ruoli.

Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica

 

Fu un linciaggio, perpetrato dalla società benpensante contro il brillante irlandese che pur divertendola l’aveva sfidata. In Atti osceni, scritta cento anni dopo i fatti, l’illustre regista-autore newyorchese di origine venezuelana Moisés Kaufman lo racconta in 150 minuti mediante un abile, appassionante montaggio di documenti tratti dai verbali giudiziari e da molte altre testimonianze, tramite nove attori tutti impiegati in più parti tranne uno. Nell’eccellente, veramente eccellente (ritmo, chiarezza, vivacità, umorismo) edizione diretta da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia quest’uno è Giovanni Franzoni, un Wilde prima sprezzante e ironico, quindi smarrito e addirittura trasognato, ma, nella convinzione delle proprie idee come nell’ammissione delle proprie debolezze, eroico.

Masolino d’Amico, La Stampa

 

Da sottolineare la bella prova di Riccardo Buffonini, che tratteggia con sensibilità la sfuggente figuretta di Lord Douglas. Ma a reggere tutto lo spessore tragico di questa immane persecuzione umana e politica è il bravissimo Giovanni Franzoni che con pochi tocchi disegna la maschera di uno straordinario Oscar Wilde insieme fedele al personaggio e oggetto di una profonda trasposizione interiore. Sul suo volto cereo, nelle sue dichiarazioni ambiguamente reticenti passa una gamma di sentimenti mutevoli, orgoglio di sè, coscienza delle proprie debolezze, consapevolezza di mentire e di tradirsi mentendo sulle proprie inclinazioni, smisurata fede nel primato della bellezza e straziante percezione che in questo caso la bellezza non potrà salvarlo. E su tutto, dall’inizio, un dolore incombente, silenzioso, senza nome.

Renato Palazzi, Il sole 24 ore.com

 

 

Moisés Kaufman

 

«Nel lavoro di costruzione di Atti osceni erano due le cose che mi interessavano – racconta l’autore. Primo, volevo raccontare la storia, una possibile storia, di questi processi. E secondo, ero interessato a usare questa storia per continuare il mio lavoro di esplorazione sulla forma e il linguaggio teatrale. Più precisamente: come può il teatro raccontare la Storia? Man mano che procedevo nel lavoro, mi accorgevo che esistono varie versioni di quello che era successo durante quei processi, a seconda delle persone coinvolte: George Bernard Shaw, Lord Alfred Douglas, Frank Harris, Oscar Wilde, ognuno raccontava una sua personale, e a volte molto diversa, storia di quanto era accaduto. Mi sembrava che ogni tentativo serio di ricostruire questa vicenda doveva dare conto, in un modo o nell’altro, di questi differenti punti di vista. Tutto questo mi metteva di fronte a un problema molto stimolante: come creare una pièce che contenesse tutta la molteplicità di queste storie e nello stesso tempo conservasse una linea drammaturgica coerente».

 

Nel settembre del 2016 Moisés Kaufman viene insignito della National Medal of Arts dal Presidente Barack Obama, la più alta onoreficenza conferita ad un artista, e candidato al Tony e all’Emmy Award come Migliore Regia e Migliore Sceneggiatura.

Collabora a numerose commedie di successo rappresentate a Broadway, tra le quali: The Heiress con Jessica Chastain; 33 Variations (candidato a cinque Tony Award) con Jane Fonda di cui è anche autore; Bengal Tiger at the Baghdad Zoo del finalista Premio Pulitzer Rajiv Joseph, con Robin Williams e I Am My Own Wife opera vincitrice di un Pulitzer e di un Tony Award.

I suoi lavori Atti Osceni: i tre Processi di Oscar Wilde e Il Laramie Project sono tra le commedie più rappresentate in America negli ultimi dieci anni. Scrive e dirige l’adattamento cinematografico del Laramie Project per l’emittente televisiva HBO, che ha concorso a due Emmy Award come Migliore Regia e Migliore Sceneggiatura. Attualmente, sta scrivendo e dirigendo insieme al compositore Arturo O’Farrill (vincitore di un Grammy Award) un nuovo adattamento della Carmen di Bizet. Kaufman è direttore artistico del Tectonic Theater Project e beneficiario di una borsa di studio Guggenheim per la scrittura drammaturgica.

 

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