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Fino al 14 aprile, dal Teatro Argentina di Roma arriva al Teatro Mercadante di Napoli L ’Albergo dei Poveri, un classico reinterpretato da Massimo Popolizio. L’opera russa capolavoro di Maksim Gor’kij, tradotta da Emanuele Trevi e trasposta in scena da un cast scelto con Popolizio anche alla direzione. Con lui, Giovanni Battaglia, Gabriele Brunelli, Luca Carbone, Martin Chishimba, Giampiero Cicciò, Carolina Ellero, Raffaele Esposito, Diamara Ferrero, Francesco Giordano, Marco Mavaracchio, Michele Nani, Aldo Ottobrino, Silvia Pietta, Sandra Toffolatti, Zoe Zolferino sono sul palco a rappresentare caratteri ipocriti, crudeli e crudi di maschere teatrali da lui costruite. Vizi e capricci dell’essere umano esplodono con la tragedia di Gor’kij, regalando al pubblico napoletano un meccanismo teatrale unico portato all’estremo, esempio della regia di Massimo Popolizio.
“Il rumore non ha mai impedito a nessuno di morire”
L’ambientazione è in un albergo per i poveri appartenente a Michail Ivanoviĉ Kostylëv, dove ladri, prostitute e malati vivono una disperata esistenza. Sin dall’inizio della pièce, si viene avvolti dall’intensità della scena scura, tetra, sporca. Dolore e malattia di persone distrutte che hanno perso tutto e sono finite in rovina. Chi non riesce neanche a respirare, chi affoga il proprio respiro nella vodka. “Tutti chiedono qualcosa”, mentre uomini distrutti e avvelenati vengono prosciugati e torturati. Non serve a nulla la bontà d’animo, non serve a riscattare i soldi, e nel frattempo ai poveri vengono estorti gli ultimi averi.
“Non si può ammazzare un uomo già morto
Disgraziati, buoni a nulla, perduti, tutti diversi e tutti uguali nella lotta con se stessi e i drammi che li affliggono. Arrabbiati con sé e con la vita provano a mendicare per ricevere un po’ di sollievo: si vendono, perché la coscienza è solo per i ricchi, l’onore non esiste perché nessuno è migliore di nessuno. Non hanno paura di nulla, neanche della morte che forse potrebbe salvarli. Non hanno vergogna, perché quando cadi in fondo nella miseria, non c’è più spazio per niente. Esseri superflui in rovina che non sanno riconoscere un posto come casa, bisognosi di rispetto e non di compassione.
“Io non chiedo nulla ma non sono peggiore degli altri”
La scena di Popolizio è mistica, scura, truce e vera. Il finale è da mozzare il fiato, dopo uno spettacolo in cui si perdono certezze e parole. Il tempo remoto della Russia di Gor’kij è consacrato sul palcoscenico contemporaneo con devozione e realtà per mettere a nudo l’essere umano. Si svelano i peccati più reconditi di un uomo avvilito dai propri errori e schiavo di un sistema incontrollabile creato da un Dio che “avrà fatto pure il mondo, ma non l’ha fatto su misura per tutti”. Spiazzati e annientati, in un continuo pellegrinaggio di disperazione.
“Contro le malattie ci sono le parole, contro la morte no”
Roberta Fusco