Views: 52
Il collettivo artistico “Generazione Disagio” porta in scena, al Piccolo Bellini di Napoli, dal 9 al 14 gennaio 2024, lo spettacolo “Dopodichè stasera mi butto” di e con Enrico Pittaluga, Graziano Sirressi, Andrea Panigatti e Luca Mammoli, con la regia di Riccardo Pippa.
Lo spettacolo ha registrato il tutto esaurito in tutte le date ed è stato accolto con entusiasmo dal pubblico napoletano, ieri sera, durante la prima.
Lo spettacolo comincia a luci basse e con la canzone intitolata “Mi sono rotto il cazzo” dello Stato Sociale, in sottofondo. Nel frattempo, una voce fuoricampo parla della questione palestinese e mette in rilievo che chi si esibisce a teatro, attraverso il palcoscenico, porta con sé questa responsabilità anche di denuncia sociale e morale.
Quindi dopo questa fase iniziale la stessa voce fuoricampo continua, sempre con le luci basse, sfidando le consuete regole teatrali: incoraggia a tenere i cellulari accesi, scattare foto e persino a scartocciare caramelle provocando rumori. Questo provoca le prime risate del pubblico, si crea una sorta di ribaltamento delle abitudini tradizionali del teatro.
La rappresentazione si apre con un vero e proprio manifesto del disagio giovanile, declamandone i non valori, lo stile, gli eccessi, le abitudini e soprattutto i tre pilastri del vero disagiato: “Distrazione, Disinteresse, Disaffezione.” I quattro attori si propongono portatori di un messaggio universale, i cosiddetti portatori sani del disagio e coinvolgono da subito il pubblico: non temete, siamo tutti disagiati.
Sul palco, gli attori interpretano quattro distinti personaggi. Il primo è “il laureando”, che dopo quattrodici anni ha ripreso gli studi in filosofia, ed è in possesso dei 24 cfu necessari per insegnare. Poi “l’autonomo”, che fa lo stagista presso uno studio di architettura e convive con uno zio anziano. Il terzo personaggio è “il precario”, laureato in scienze politiche con 110 senza lode, che vive coi genitori e consegna cibo da asporto la sera. Quindi l’ultimo personaggio svolge il ruolo di presentatore, regista ed arbitro all’interno della commedia.
La performance inizia con un gioco che richiama i tratti di un quiz televisivo, una sorta di ruota della sfortuna.
Il presentatore dal tono cinico ed irriverente, introduce un gioco simile al gioco dell’oca, ma con una prospettiva invertita, interpretati dai personaggi che incarnano il disagio giovanile: il precario, l’autonomo e il laureando. Durante il gioco ci sono dadi da lanciare, carte con imprevisti, prove collettive, soste obbligate, divertenti e dissacranti prove di abilità, tutto per raggiungere l’ultima casella, simboleggiata da una bara nera: la casella suicidio. In modo ironico anche il pubblico è coinvolto, partecipando al gioco, ad esempio lanciando le palline colorate contro il giocatore attore che non supera le varie prove dell’aperitivo; questo crea un’atmosfera divertente ma, soprattutto, rende il pubblico parte attiva dello spettacolo, dandogli la funzione di giudice, un po’ come accade attraverso i social, utilizzando emoticon e like.
Lo spettacolo affronta tematiche rilevanti, concentrandosi principalmente sui vizi e sulle virtù della generazione dei trentenni, esplorando il disagio giovanile. Gli attori sul palco toccano in maniera cinica e senza filtri, vari aspetti della società contemporanea, partendo dalla sfera politica, a mo’ di battuta, affrontando, poi, questioni come il conflitto palestinese. Non si risparmiano battute pungenti sul mondo LGBT, sulla televisione e sul ruolo dei social network. Viene sottolineato il concetto che per sentirsi realizzati dobbiamo costruire un’identità virtuale, creando status e storie da pubblicare poi sui social.
Un altro momento emozionante di questo spettacolo è senza dubbio la cosiddetta prova collettiva, durante la quale i tre personaggi, il laureando, l’autonomo e il precario, affrontano una sorta di confronto, chiamato “j’accuse”. Attribuiscono la responsabilità delle loro difficoltà a diverse cause: incolpano i genitori, i social network e persino i coinquilini. Esplorano le loro paure, le scelte mancate, la frustrazione sociale, sentendosi intrappolati nei valori trasmessi dalle generazioni precedenti quali matrimonio, posto fisso e stabilità. È la generazione di mezzo, non più figli ma ancora non padri, non è catalogabile, è flessibile e precaria, fragile ed instabile, ma soprattutto ha paura di innamorarsi, di aprire il proprio cuore.
È la generazione che può essere incarnata dal mammifero panda, che viene definito la quintessenza della tenerezza, ma che per certi versi rappresenta questa generazione giovanile che si fa tenerezza da sola.
La generazione disagio è passiva, pigra, poco coraggiosa, resistente al cambiamento, solitaria, che non agisce ma subisce, ma soprattutto sembra identificarsi con valori di tipo nichilista.
Lo spettacolo è divertente, sarcastico al punto giusto, colto e raffinato, irriverente, mantenendo un ritmo coinvolgente, merito soprattutto degli attori che hanno dimostrato grande talento e passione. D’altra parte, va riconosciuta l’audacia del regista nello sperimentare nuove strade e moderni approcci di comunicazione.
Ci è piaciuto molto questo coinvolgimento, sembrava che non ci fosse una separazione netta tra palcoscenico e pubblico, creando un’esperienza partecipativa. Abbiamo apprezzato il modo in cui il pubblico si è identificato e si è visto riflesso nei monologhi e nelle battute dei personaggi. Il finale è liberatorio ed autentico, si balla e si canta sulle note del disagio style.
Ersilia Marano