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Al Ridotto del Teatro Mercadante di Napoli, dal 21 novembre al 26 novembre, è in scena una drammaturgia intitolata “Benvenute stelle”, scritta, diretta ed interpretata da Eleonora Danco, accanto a lei un attore esordiente, Federico Majorana. Atto unico della durata di un’ora.
Sul palco la regista e interprete Eleonora Danco, accompagnata da Federico Majorana, sono voci a confronto che raccontano, senza mai dare giudizi, storie vere del vissuto di uomini e donne, adolescenti, ragazzi e ragazze, padri e madri, bambini e bambine, della periferia romana, infatti i due monologhi sono completamente in dialetto romanesco.
“Nato ai bordi di periferia, dove i tram non vanno avanti più, dove l’aria è popolare, è più facile sognare che guardare in faccia la realtà” nel lontano 1986 Eros Ramazzotti cantava così, ma nello spettacolo di Eleonora Danco non c’è scampo, non c’è sogno, non c’è riscatto: un quadro realistico e nudo del disagio che si vive quotidianamente nelle periferie delle grandi città metropolitane, da Tor Bella Monaca a Scampia non vi è differenza.
“Benvenute Stelle” (il termine “stella” in dialetto romanesco è più usato a mo’ di sfottò ed assume varie sfumature dal vezzeggiativo a moti di derisione o compassione) gli astri del titolo dello spettacolo sono storie e testimonianze di solitudini, diversità, diffidenza, inquietudini, degrado, abusi, stordimento, disgusto sociale, emergenze che diventano normalità, guasti emotivi, dolore e rabbia che si mescolano e si contaminano, e l’unica salvezza è l’apatia.
La prosa di Eleonora Danco è asciutta ed intensa, cruda e crudele, arida e vitale, senza filtri e senza orpelli, i suoi protagonisti sentono le farfalle nello stomaco solo quando non arrivano a fine mese: manca il cibo, manca l’amore. Spesso vengono citati con la parola “cavallini” che nel gergo della criminalità organizzata, si indicano i corrieri che si occupano della distribuzione di sostanze stupefacenti sul territorio.
Ci ha colpito l’attore esordiente Federico Majorana che nei suoi racconti mette in evidenza “il silenzio che pesa”, la sfiducia e la rassegnazione ma soprattutto quel legame familiare vissuto come perseverazione di gesti e parole: “alla fine non ti allontani mai dall’albero”.
La regista Eleonora Danco affronta una tematica, che è fondamento dell’intero spettacolo, ossia l’alienazione e la spersonalizzazione dell’individuo imposta dalla società e lo fa attraverso reminiscenze kafkiane.
La sensazione è proprio quella che l’autrice abbia voluto creare un dualismo tra le voci della periferia e quella voce robotizzata fuori scena che annuncia tutti prodotti bio, dalle marmellate, passando per l’olio e concludendo con il salmone, citandone anche la provenienza.
Alla fine le storie come i corpi dei protagonisti della periferia si rotolano per terra, come sul palcoscenico come nella vita, disperandosi, eppure, nonostante tutto, la regista, fa trapelare un filo di speranza attraverso la voce di una delle sue stelle: “se rinasco voglio essere un falco”.
Ersilia Marano