Musica, intervista agli Ardecore, in uscita con il disco “996, Le canzoni di G. G. Belli, Vol. 1”

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I testi sono di Giuseppe Gioachino Belli, autore romano ottocentesco, ma il sound folk è made Ardecore. “996, Le canzoni di G. G. Belli, Vol. 1”, è il primo di due originali volumi composti dal musicista Giampaolo Felici con la collaborazione di Gianluca Ferrante e Adriano Viterbini. Registrato tra il 2018 e il 2022, ad affiancare Felici in questa nuova esperienza con TempestaDischi, Ardecore si riempie di artisti della scena rock indipendente italiana e internazionale, con il sopra citato Viterbini (I Hate My Village, Bud Spencer Blues Explosion), Jacopo Battaglia (Zu, Bloody Beetroots), Giulio Favero (Teatro Degli Orrori), Massimo Pupillo (Zu), Geoff Farina (Karate), Ludovica Valori (Nuove Tribù Zulu), Gianluca Ferrante (Kore), Marco Di Gasbarro (Squartet) e la partecipazione di Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Morti) nei brani “Er cimiterio de la morte” e “Campa e llassa campà”.

 

Il risultato è un album di innovata potenza culturale romana, in cui la lingua di un popolo si mischia alle sonorità folk degli Ardecore per rileggere i sonetti di Belli in chiave sonora. Una rivalutazione dei testi, dei suoni, per un ritorno alla tradizione e ai valori di un tempo all’apparenza lontano.

Un progetto sorprendente che ci ha spinto a raggiungere telefonicamente Giampaolo Felici per approfondire insieme 996.

 

Basta leggere “996, Le canzoni di G. G. Belli, Vol. 1” e già dal titolo si capisce che è un progetto e ascoltare l’album diventa un vero coinvolgimento. La mia curiosità è scattata subito, quindi, come nasce l’idea di prendere i sonetti di Giuseppe Gioachino Belli e trasporli in musica?

 

Negli anni, dal primo album in poi, è sempre stato il nostro tema quello di un recupero dalle radici, per portare avanti un discorso che non è legato all’antropologia musicale ma per far nostri dei temi, sia nei testi ma soprattutto nelle canzoni. Abbiamo sempre fatto questo tipo di operazione, ma l’abbiamo fatta sentendola nostra, portandola nelle nostre corde. Alla fine, andando a pescare il Belli in questo caso, in qualche modo ci tiene sullo stesso binario. Chiaramente le sue sono poesie, sonetti, di cui ne ha scritti oltre 2000 nella prima metà dell’800, quindi alla fine si trattava di costruire delle canzoni intorno a dei testi. Si è fatta una scelta in linea con quello che abbiamo sempre fatto, ma risultando un approfondimento: nel tempo, perché siamo andati più in giù negli anni, e sono tutti brani originali, in realtà, sono canzoni anche se prima non c’erano. È un’antologia di brani: chiaramente estrapolando delle canzoni da sonetti, non si possono fare delle cifre enormi, però nei due volumi arriveremo a una cifra grossa, un king size da 28 canzoni, di cui abbiamo fatto uscire per ora solo il primo volume.

 

Da appassionata di letteratura, mi chiedo, com’è stato approcciarsi ai testi? Avere un sonetto e trasportarlo in musica comporta diversi step che si susseguono, primo tra tutti appunto, scegliere quali sono i testi giusti da portare in musica.

 

Di fatto la scelta è il momento forse più importante, e paradossalmente è anche quello più facile, in cui si cercano quelle cose che ben o male si possano accoppiare e abbinare all’interno della propria fase creativa. Personalmente, non mi sono mai messo in testa un tema da sviluppare. Tutte le pubblicazioni antologiche su Belli sono dedicate ad un tema scelto su cui è sviluppato il percorso intorno: nel corso degli anni il Belli è stato usato per parlare di anticlericalismo, come di cucina romana, da un estremo all’altro. Da questo punto di vista, io una scelta a monte non l’ho fatta, sono andato così a intuito, a ispirazione, perché quello a cui ho sempre tenuto è il trovare qualcosa, una cifra stilistica che in qualche maniera, anche quando usi delle composizioni altrui, rappresenti e ci possa star dentro.

 

Che cosa vuoi trasmettere con questo album?

 

Gli aspetti rappresentati dentro le canzoni, in qualche maniera descrivono quello che si vuole andare a tirar fuori, sicuramente un tipo di romanità intesa come modo d’essere di un popolo, che vuoi o non vuoi, si è andato a perdere. Nel momento in cui Belli fissa, tra il ‘30 e il ‘49 tutta la serie dei 2000 e passa sonetti, è il momento in cui Roma, anche a sua insaputa, va a terminare un percorso. I romani in quel periodo erano 250mila. Non c’era l’Italia, il popolo era diverso, c’era un grosso analfabetismo, ignoranza, ma un sapere, un modo di sentire e vivere le cose quotidiane, che anche se venivano da secoli, se vuoi, di decadentismo, sono anche secoli in cui si possono trovare certe caratteristiche nel popolo, che erano la cosa più importante da inserire. Caratteristiche che in meno di 200 anni, una Roma che da 200mila abitanti arriva a 6 milioni di abitanti, si sono perse, o comunque, se non si sono perse totalmente, si rischia di perderle in maniera drammatica e irrecuperabile.

 

Seguendo questo discorso, se volessimo fare una sorta di guida ai testi, possiamo dire quindi che attraverso i brani si vuole trasmettere quella che è la romanità e alcuni principi da ricordare.

 

Sì, o comunque, certe caratteristiche di un modo di essere romani, che era un modo per essere popolari. È chiaro che ogni città, ogni luogo ha le proprie caratteristiche, però per me riprendere il percorso, il modo di essere, le nostre radici, è la cosa più importante. Dall’altra c’è pure l’importanza del modo di scrivere di Belli perché, per non perdere certi insegnamenti, Belli per noi è come Dante: scrive in romanesco e in maniera diacritica, inteso che scriveva come va pronunciato il termine. Da quel punto di vista, diventa un’operazione che tiene in piedi un qualcosa che si perde. Ti rendi conto che il Belli, più profondo e dogmatico è importante proprio per questo. È difficile da leggere! Non sto incitando tutti a parlare il romano antico, ma chiunque parla in modo gergale sembra che debba essere per forza una persona ignorante, che deve essere quasi confinata a un lato della società, mentre non è così e in questo caso, il Belli ci teneva a parlare della lingua romanesca.

 

Approcciarsi ad un autore vuol dire ricercare e, in questo caso, andare molto a fondo nei sonetti, in dialetto, per comprenderne i testi. Com’è l’unione prosa e musica?

 

Da tempo abbiamo recuperato dei brani che erano già canzoni, in questo caso, il sonetto ha una sua realtà, la canzone non c’entra nulla, quindi diventa dare un’immagine a una sensazione. Ciò che mi ha mosso principalmente, è che quando vado ad interpretare il brano per me è come se l’avessi scritto io: non è uno sforzo, ma mi devo immedesimare un po’ come fa l’attore, con la differenza che non c’è finzione ma devi vivere in prima persona quello che non hai composto tu. Abbiamo fatto sempre una cifra grossa di composizione dei testi, qui invece c’era da entrare in un mondo che come dici tu, bisogna scavare nel testo, sentire, magari anche cose stupide le quali ti fanno percepire che il brano lo devi portare avanti. È fatalismo: se senti che ti arriva una sensazione di brivido e sentimento mentre si abbina una nota su una parte del testo, quel brano entra dentro subito nella scaletta che porta dritto alla masterizzazione. Finché non ti arriva l’imprinting con certi sonetti già selezionati, ne scarti tantissimi.

 

Siete arrivati a due volumi, di cui solo uno pubblicato, con un complessivo di 28 brani, giusto?

 

Sì, per ora siamo al volume uno, con 16 brani e ti posso dire che è più potente, più sonico del secondo, il quale manterrà la caratteristica che lo lega logicamente al primo ma sarà un disco più legato a delle dinamiche forti e alle nostre radici di band: un suono legato ai primi tempi di Ardecore. Sicuramente un disco più folk rispetto al primo.

 

Primo, secondo: potrebbe esserci anche un terzo o magari si passerà ad un’altra linea?

 

Non lo so, da questo punto di vista ci siamo immaginati di portare avanti una sorta di hall of fame che possa avere uno step ulteriore che abbiamo pensato ampliando l’ipotesi dei guest. Da quel punto di vista potrebbe anche succedere, dobbiamo vedere come si sviluppa perché, come ti dicevo prima, i brani nascono in maniera graduale, e a volte torni indietro perché non ti è suonato bene qualcosa o ti rendi conto che potrebbe esser fatto qualcos’altro. Tra l’altro, adesso suonarli dal vivo con tutto il resto della band: Viterbini, Favero, Jacopo Battaglia, Ferrante, Ludovica Valori, Marco Di Gasbarro… siamo tanti, e chiaramente andando sul palco i brani si stanno modificando ulteriormente. La fotografia del disco è una cosa, i brani dal vivo prendono un’altra dimensione e continuano ad essere una modifica continua dello stesso sonetto, quindi, alla fine la storia non finisce mai. E speriamo, magari facciamo un terzo volume, mettiamo amici e non che gli va di starci dentro e vedremo.

 

Mi sembra di capire che è una grande famiglia romana che accoglie tutti.

 

In realtà sì, anche se poi io non sono così aperto al mondo dell’amicizia! Ho sempre fatto il promoter, ho gestito Init, dove hanno suonato in tanti quindi conosco tante persone e posso dire che ho tantissimi amici. Siamo stati i primi a partire dal 2000, dopo il buco della Ferri e la musica romanesca dagli anni ‘70 in poi. Quando siamo usciti, abbiamo ripescato l’idea della musica romanesca, e inizialmente avevamo anche paura di fare un buco nell’acqua. Ma da lì in poi si è sviluppato un vero mondo di musicisti che suonano neo-folk romano, perché ad ora ci sono tanti gruppi, tutti amici, come Orchestraccia, Muro Del Canto, Banda Llorona, ma ci sono una cifra di tanti altri nomi. Si è sviluppato un discorso che di fatto l’ipotesi del volume 3, hai voglia di mettere gente che fa parte del giro, bene o male a Roma siamo in tanti e ci siamo incontrati tutti, sarebbe facile fare il terzo volume.

 

Però non abbiamo detto che il secondo volume verrà composto e unificato con un libro contenente l’introduzione di Marcello Teodonio, il quale è illuminare del Belli e ci dà l’imprimatur sul poter agire su di lui poiché tutte le antologie degli ultimi 30 anni sono uscite con la sua prefazione e la sua introduzione. È il presidente della cultura Belliana su Roma, ogni anno organizza anche un festival. Il fatto che il libro esce con l’introduzione di Marcello Teodonio, ci porta verso un altro mondo che non abbiamo mai affrontato ossia quello dell’edizione libraria. Vedremo.

 

Dalla sala al palcoscenico: com’è salire di nuovo tutti insieme sul palco e portare questo progetto?

 

Già alla presentazione, con amici e giornalisti, è stato un bell’impatto. Dal vivo, all’aperto, ho sempre un po’ di problema: il nostro gusto di base è sempre suonare dentro una sala in cui si  rimanda l’ambiente, mentre dal vivo vivi sulle casse, sull’impianto, non hai una sala che ti contiene. Da questo punto di vista, è sempre un po’ asettico il live, devo dire che la data di Terni ci ha messo un po’ di crisi, ma per noi è stato un warm up, infatti nella sala di Padova abbiamo ritrovato l’unione della band. Con gli elementi che adesso compongono la band, non era mai stata provata dal vivo, però è stato positivo perché a Padova ci sono state tutte delle buone vibrazioni, anche se non mi piace parlare di good vibes. Però è stato figo perché si sono sentite delle cose che dentro Ardecore non si sentivano da tempo, e non è mai scontato che ritornino, quindi da questo punto di vista ci ha preso a tutti bene. Abbiamo ripreso le fila di un discorso che si era interrotto un po’ di anni fa, insomma.

 

Live come presentazione del disco…

 

Sì, stiamo già suonando anche alcuni brani del secondo volume. Anche perché come dicevo, il live alla fine è un mondo a sé stante, perché la fotografia che fai dopo la masterizzazione e dopo che esce il disco è una cosa, ma da lì in poi le canzoni continuano a muoversi, diventano vive, non sono più lì fisse ma prendono un altro aspetto: per certi versi meglio, per altri meglio studio. Sono due mondi diversi.

 

Ovviamente sono esecuzioni diverse, per questo bisogna sperimentare nel frattempo di questa curiosa prossima uscita del Volume 2.

 

Mi hanno chiesto in più riprese: “Perché non fai il cd? Perché non fai il vinile? Perché non facciamo prima il vinile e poi..”. Però secondo me questo è un tipo di lavoro, di opera, di album che fondamentalmente nasce per stare dentro un libro. Ovviamente all’interno del libro ci saranno i QRCode per poter ascoltare e scaricare i brani, quindi da quel punto di vista è un’operazione un po’ moderna, anche se è assurdo uscire da un libro pensando che sia moderno. Non so, è una fase particolare: la musica liquida sembra aver vinto sul resto del mondo, però magari è un momento che non durerà tanto. Il mondo della musica si muove sempre in direzioni non chiare, è un momento di transito che non si capisce bene. Sicuramente aver musicato il Belli e aver scritto tutto in partitura, pensa, il libro si porterà dietro tutte le partiture, oltre ai sonetti, le note di Teodonio e di Belli, la prefazione, l’introduzione e tutte le tavole illustrate… insomma, era un lavoro più adatto per essere un libro. È un ibrido totale, capiremo se abbiamo fatto bene o male, ma alla fine quello che conta è che hai fatto una cosa e l’hai messa giù. Poi dopo, una volta che è fuori, non è più roba tua. Quindi è andata e va bene lì dove verrà giudicata. In genere la critica ci tratta bene, ma non è tutto, la critica non ti fa mangiare. Diventa tutto casuale.

 

Mi piace molto il concetto: “nel momento in cui lanci un pezzo, non è più tuo”, perché riflettendoci è così.

 

Non me la invento io, questa frase l’ho sentita dire a Nick Cave poi chiaramente mi ci sono ritrovato perché è vero. Nel momento che esce fuori, non è più tuo perché non ci puoi più mettere mano: una volta che esce il brano, cominci ad approfondirlo per portarlo live e ti rendi conto che “magari se approfondivo una certa armonizzazione, o questa parte del coro manca una sesta, lo strumento andava bene ma se..” ci sono mille cose tecniche in un brano. Se hai sentito l’album, abbiamo un’idea musicale che affronta dalla rumba al mariachi, all’hardcore. C’è talmente tanto e ci sono talmente tanti strumenti che ti rendi sempre conto che qualcosa di meglio l’avresti potuto fare.

 

 

Per ascoltare live gli Ardecore, il 3 agosto saranno a Roma, al Villa Ada Festival con Karate.

 

Roberta Fusco

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