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Dal 6 maggio è in radio e online “Verso casa”, il nuovo singolo dei WAKEUPCALL: un brano che parla della lontananza da casa, di domande sul passato e di riflessioni sulla felicità. In particolare, la band indie rock romana, lontana da casa per molto tempo, grazie a tour internazionali, torna alle origini con un brano nella loro lingua madre. Dopo E allora balla, uscita a gennaio, Verso casa è l’assaggio del prossimo album in uscita, il primo della band totalmente in italiano.
Tommaso e Oliviero Forni, Antonio Aronne e Francesco Tripaldi, ascoltano i suggerimenti sussurrati dal punk, rompendo tutte le regole e mettendosi sempre in gioco. Il risultato è l’attesa per un progetto che sa di musica live ed emozioni, ma, colpa di Tommaso, il frontman dei WAKEUPCALL, che durante un’intervista ci fa salire la curiosità.
Prima di parlare di Verso casa, voglio fare qualche passo indietro: siete una band punk rock con brani prettamente in lingua inglese e tour internazionali, ma come nascono i WAKEUPCALL?
I Wake UP Call sono nati da qualche anno. L’idea è partita da me e mio fratello, il chitarrista della band, con il quale abbiamo fatto sempre tutto insieme fin da piccoli e suonando in band da ragazzini al liceo. A un certo punto, ci è arrivata la proposta di un produttore americano abbastanza famoso, Beau Hill, che ha venduto più di 50 milioni di copie con Alice Cooper, Eric Clapton e tanti altri, che aveva ascoltato delle canzoni del vecchio progetto con la band vecchia: gli erano piaciute e ci ha chiesto se potevamo suonare e se potessimo collaborare insieme su del materiale nuovo. A quel punto abbiamo pensato che fosse il momento perfetto per chiudere la pagina, quella più amatoriale possiamo dire, e con l’esperienza raccolta cominciare con un progetto serio, con delle fondamenta serie e sono nati i Wake Up Call.
Perché in inglese?
In inglese perché, ovviamente, ascoltando i nostri idoli sono tutte band americane, inglesi. Principalmente abbiamo sempre ascoltato tanta musica rock inglese da piccoli e da ragazzini eravamo un po’ naife e avevamo l’idea che dovevamo conquistare il mondo: e il mondo, ma la musica più che altro, era in inglese, da qui la scelta di cantare in lingua inglese.
Vi ha portato bene. Ho letto che avete fatto tour internazionali ovunque, Russia, America, Europa, e all’improvviso, nel 2019 esce “Nel blu dipinto di blu”: una prima prova in lingua italiana, anche se a modo vostro.
Sì, proprio per il fatto che siamo riusciti fortunatamente ad avere la possibilità di suonare molto fuori dall’Italia, arrivando fino in Asia, a un certo punto vedevamo che era più facile per noi organizzare una data in Polonia o a Londra, piuttosto che magari a Bologna o a Palermo. E questa cosa cominciò a diventare un peso sulle nostre spalle. Un po’ anche motivo di frustrazione, perché è molto bello andare all’estero ed essere considerati, poi però restiamo italiani e non riuscire a suonare a casa nostra, ad essere conosciuti, e soprattutto riconosciuti come artisti a casa nostra, era motivo di frustrazione e per cui abbiamo cominciato a scrivere le prime canzoni in italiano. “Nel blu dipinto di blu” è stata più che altro il modo per fare questa transizione in maniera più leggera. Abbiamo pensato a questa canzone, super hit italiana che tutti conoscono, e l’abbiamo trasformata in questa canzone rock nostra. L’idea in realtà è nata perché eravamo a un festival in Russia, all’improvviso al chitarrista si ruppe una corda. Nel momento in cui l’ha dovuta cambiare, c’è stato un buco nel quale il bassista avvicinandosi microfono si è messo a canticchiare “Voolaaare”, e tutto il pubblico ha risposto “oo-oh”. Bellissimo, abbiamo visto che all’estero ogni qualvolta la suoniamo, la cantano tutti.
Iniziate a scrivere in italiano, infatti nel 2020 esce “Tu non ascolti mai”, il primo singolo ufficialmente in italiano.
Sì, è stato il nostro primo esperimento con l’italiano e ci ha dato subito un sacco di soddisfazioni perché è stata conclusa da pochissimo e c’era la scadenza per Sanremo Giovani. Abbiamo pensato: “Va’, mandiamola, tanto non ci prenderanno mai”. E invece due settimane dopo mi chiama quello dell’etichetta e mi dice che siamo stati selezionati e siamo tra i finalisti di Sanremo Giovani, quindi dovevamo andare a fare tutti i provini vari e le selezioni live. È stato un ottimo primo esperimento perché di lì a poco siamo stati anche premiati per “Il blu dipinto di blu”. Il passaggio in italiano ci ha subito dato soddisfazioni e anche un po’ di forza e coraggio nell’andare avanti su questa strada.
Infatti, cambiate lingua: passaggio molto importante per chi scrive e canta, in quanto due lingue opposte. Cosa comporta nella vostra musica questo cambio?
All’inizio è stato un trauma, lo ammetto, soprattutto per me. Ovviamente gli altri da musicisti fanno sempre quello, che sia in italiano, inglese o francese. Per me all’inizio cambiare dall’inglese all’italiano è stato un trauma: non tanto il cantare, che sì, ci sono differenze ma sono più di tipo tecnico; quanto nella scrittura dei testi, nell’adattarli alla metrica italiana che ha tutta una serie di regole differenti da quella dell’inglese. All’inizio è stato un po’ ostico, però devo dire che superando le prime difficoltà e non mollando all’inizio, abbiamo scritto veramente tante canzoni in italiano e adesso io, che ero quello con più dubbi, lo ammetto, in realtà mi piace tantissimo e devo dire che le canzoni nuove ancora inedite, mi piacciono veramente tanto.
“Non ascolti mai” è il primo singolo che precede “Fortunati mai”. A gennaio di quest’anno è uscita “E allora balla” e negli scorsi giorni “Verso casa”. Gli ultimi brani deduco che faranno parte del prossimo album.
Sì, “Verso casa” e “E allora balla” li abbiamo registrati l’anno scorso insieme al produttore Andrea Pachetti, il produttore dei Zen Circus e tanti altri. Credo e spero, faranno parte di quello che sarà il nostro primo album in italiano. Nel senso, il disco è pronto ma ovviamente essendo una band underground e indipendente, abbiamo un concetto molto vintage per come secondo me una band dovrebbe fare ancora gli album. Mi spiego, un album è pieno di tanti capitoli, ogni canzone, ed è bello vedere tutta la strada: è come un’istantanea, una fotografia di una band in quel momento. Ad oggi però ci dobbiamo confrontare con quella che è la realtà del business odierno musicale, con tutti gli artisti che fanno uscire una canzone qua e là perché le nuove generazioni non sono più abituate ad ascoltare l’album vero e proprio. Quindi, anche noi ci stiamo domandando cosa fare, se fare uscire tutte canzoni un po’ alla volta e poi racchiuderle in un album, o fregarcene e fare comunque l’album nei prossimi mesi. Stiamo valutando.
L’album come sarà?
Siamo una band molto eclettica, facciamo rock ma secondo me il rock è pieno di tantissime sfumature. Quindi nell’album ci sarà per esempio “E allora balla”, un pezzo molto scuro e arrabbiato, “Verso casa” invece è una canzone di speranza e molto radiofonica, poi ci sarà il pezzo più ballato, la canzone triste, la canzone allegra, quella con più musica elettronica, quella più punk, quella più metal. Insomma, cambiamo tanto.
Quindi è un album molto sperimentale.
Sì, non c’è mai piaciuto fare sempre la stessa canzone ripetuta all’infinito. Più che altro, non ci poniamo nessun tipo di limite anche perché non abbiamo la casa discografica che ci dice cosa dobbiamo fare e come lo dobbiamo fare: noi facciamo quello che ci piace e quello che sentiamo in quel momento.
Album è uguale a live. Essendo abituati a tour all’estero, pensate che questo album, oltre che volerlo portare in Italia, lo porterete anche fuori?
Stiamo cercando di capire tante cose, tra cui anche questa. Questo è un capitolo un po’ triste, in quanto andando all’estero abbiamo suonato tantissimo in Russia e in Ucraina. Adesso con tutta questa situazione è molto triste. Sicuramente cercheremo di continuare a fare date all’estero, infatti abbiamo già qualcosa in programma in Svizzera. L’interesse principale è quello di riuscire a fare più date possibili qui a casa nostra, in Italia. Ovviamente, a causa del Covid ci si sta ancora cercando di riprendere e speriamo per la prossima stagione che possa essere quella buona. Si è creato un ingorgo gigantesco perché i locali hanno due anni di date da recuperare e tutti con poco spazio. Non è facilissimo ma pian piano.
Per il futuro, oltre a musica live e sperimentazione, pensate di restare su questa scia dell’italiano e non mettete in dubbio di ritornare anche all’inglese?
Paletti non ne mettiamo mai. L’idea di tornare all’inglese, adesso e subito, non credo ci sia. Nel senso che non sappiamo dove ci porterà questo disco, però l’idea di continuare in italiano ci piace, anche perché quello che abbiamo scritto ci piace molto e come tutte le cose ci vuole un po’ di tempo. Non è che al primo tentativo ci fermiamo qui e torniamo all’inglese. Vedremo dove ci porta il vento.
Roberta Fusco