Intervista ad Antonello Bombagi, autore del libro “Il cappello dello sciamano”

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Antonello Bombagi

Inconsapevolmente nella nostra vita compiamo delle scelte che determinano il nostro avvenire. Ingenuamente e a ruota libera, non ci si rende conto degli anni che scorrono, poggiati su un’addizione costante di azioni che possono soddisfare le aspettative proprie e genitoriali. Aspettative che mutano ma non dissolvono, poiché forgiate da credenze riflessive su cui vengono basate le azioni future. Banalmente, la vita evolve e non lascia spazio per riflettere su tutto ciò che ci permette di mutare. Finché non si ha una rottura. Nella mente scatta un meccanismo d’allarme a cui non si può non prestare attenzione. Di lì, si arriva al punto che bisogna fare necessariamente i conti con la propria mente e con ciò in cui si crede.

Serve una rilettura della propria vita, in maniera distaccata come un lettore onnisciente con un buon libro d’avventura. La metafora sembra facile, ma non banale. È l’avventura creata dalle nostre scelte a rendere unica la vita di ciascun individuo.

E in un momento storico in cui non ci si rende conto dell’unicità della nostra esistenza, rivivere la vita come un’avventura appare l’unica chiave di lettura possibile per respirare un vento di speranza.

 

La metafora posta non è scelta a caso. Nel libro “Il cappello dello sciamano” di Antonello Bombagi, in uscita l’11 novembre per Rogiosi editore, la promessa è quella di un’avventura. Un romanzo che va letto piuttosto che raccontato, con una trama che attinge dall’esperienza personale dell’autore, per sviscerarsi in una storia erede di un’antica leggenda dei boscimani del Kalahari. L’avventura è narrata dal punto di vista di Jonas Sunborn, uomo originario del Madagascar, con un destino del tutto avverso, che si ritrova ad un certo punto a dover superare una serie di ostacoli per salvare Chiara, colei che inconsapevolmente apparirà la chiave di riflessione del protagonista della storia.

 

Senza troppi spoiler, la curiosità scatta dopo una telefonata con l’autore. Dopo avermi chiesto di dargli del tu, Antonello Bombagi mi ha raccontato cosa c’è dietro a “Il cappello dello sciamano”, accendendo anche nella mia mente un meccanismo di riflessione inaspettato.

 

Come può capitare ad ognuno di noi, c’è stato un momento di rottura in cui hai dovuto affrontare la tua vita ed hai trovato nella scrittura una chiave di soluzione a ciò che stavi provando. Si può dire che è qui che ha genesi Il cappello dello sciamano?

 

Si può dire di sì. Per Il cappello dello sciamano mi sono ispirato alla storia che ha dato anche il titolo al libro. È un’antica storia che riguarda i boscimani del Kalahari in cui mi sono imbattuto proprio nel periodo in cui ero ancora nel tunnel. Ho vissuto in prima persona questa storia e devo riconoscere che mi ha segnato e aiutato molto, anche se sul momento non me ne rendevo conto. Come accade con molte storie, la senti, la fai tua, ma non senti che ti cambia la vita. Tuttavia, giorno dopo giorno ti rendi conto che ti aiuta a demolire alcune credenze sbagliate. Come sappiamo, le credenze più intime e profonde sono quelle che muovono i nostri pensieri, il nostro pensiero cosciente che ispira le nostre azioni. Per cui, perché si dice che “Se vuoi cambiare vita, devi cambiare quelli che sono i tuoi credo”, è da lì che parte tutto. Se riesci a modificare alcune credenze che ritieni sbagliate, da lì puoi cambiare: perché cambiando il tuo credo, cambi il tuo pensiero; cambiando il tuo pensiero, ispiri azioni nuove.

 

La storia dei boscimani del Kahalari è una storia mistica che racconta del meccanismo d’attecchimento delle credenze e della disillusione che esse provocano quando vengono svelate. Le credenze possono essere innate, religiose o frutto dell’educazione, tuttavia sta nella consapevolezza dell’individuo riconoscerle e selezionarle per la propria salvaguardia. Come hai legato la storia originale al tuo romanzo?

 

Di fatto, di cappelli tutti ne portiamo tanti sulla testa. Spesso non è facile toglierli, perché sono frutto di credenze molto radicate, magari per via di una certa educazione o un certo percorso. Fanno parte di noi stessi e non è semplice. Però mi sembrava che ne valesse la pena raccontare anche che si possono togliere i cappelli dalla testa. Tuttavia, nel romanzo la leggenda dei boscimani è raccontata solo marginalmente, poiché il mio intento è stato quello di raccontare questo concetto attraverso le vicissitudini di un personaggio, inventato ovviamente, di cui la storia era già dentro di me. Ho dovuto solo redigerla, metterla in ordine, ma di fatto sono partito da una storia vera che mi affascinava, con la presenza anche di personaggi veri e reali che ho trasformato. Ci sono certo delle analogie anche con la mia vita, ma è la storia di un ragazzo che dopo un’infanzia in un orfanotrofio in Madagascar, riesce poi da adulto ad andare in Italia per studiare, continuerà qui la sua vita fino ad arrivare ad un punto di crisi. Quando mi sono imbattuto nella storia dei boscimani, anche se mi aveva colpito, era solo una storia. Dopo, mi sono reso conto che ha lavorato dentro di me. Ed è ciò che ho voluto trasmettere al mio protagonista, ovvero la sensazione che un bel giorno racconti a qualcuno della tua storia e lì capisci che in effetti sei andato oltre, l’hai superato.

 

Sentendone parlare e per mia ovvia analogia, si può dire che così come la vita, Il cappello dello sciamano è un romanzo d’avventura.

 

Sì, esattamente. O almeno, io l’ho vissuto come un romanzo d’avventura. Ci sono delle peripezie a seguito del rapimento di Chiara, che portano il protagonista a doversi improvvisare per salvarla, generando così una serie di avventure. Limitarsi a raccontare la storia del cappello dello sciamano non sembrava che potesse arrivare in maniera omogenea a tutti. Questa forma, questo romanzo d’avventura, mi dava la possibilità di poter essere un narratore, come io mi sento. Ho sempre scritto racconti brevi e storielle, e questa è la prima volta che mi sono cimentato in un romanzo vero e proprio. Mi è piaciuto così tanto che ne sto scrivendo già un altro.

 

Vuol dire che ci sarà un seguito della storia?

 

Sì, ovviamente una storia diversa. Alcuni personaggi saranno nuovi, altri resteranno. Adesso sono ancora in fase di progettazione.

 

È già un ottimo inizio. Inoltre, l’uscita del romanzo è prevista per l’11/11. Non so, ma credo che sarà un giorno fortunato.

 

Non l’ho scelto io ma sembra una data bellissima, spero porti bene. Non ho grandi ambizioni, però mi farebbe piacere che questa storia potesse nel suo piccolo aiutare qualcuno a migliorare la propria vita e la propria esistenza. Per me è stato così e spero che possa capitare anche a qualcun altro.

 

Roberta Fusco

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