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L’Iris Selvatico è la sesta raccolta di poesie pubblicata da Louise Glück. Una raccolta poetica corale in cui i fiori di un giardino dai tratti quasi mitici, prendono la parola per raccontare la vita e la morte, le passioni e le preoccupazioni del mondo terreno in un dialogo tra il naturale, l’umano e il divino. Un excursus sull’opera che ha portato Louise Glück sulla scena internazionale, finalmente disponibile nella traduzione italiana di Massimo Bacigalupo.
La poesia di Louise Glück è arrivata tardi in Italia, troppo tardi se consideriamo l’anno del suo esordio letterario negli Stati Uniti, il 1968. Ampiamente tradotta in Europa, principalmente in Spagna, l’opera della poetessa americana è stata accolta nel Belpaese soltanto nel 2019, grazie alla casa editrice napoletana Dante e Descartes, che insieme a Editorial Parténope ha scelto di dare alle stampe una delle opere della maturità artistica di Glück, Averno (2006) , diventando così la prima casa editrice italiana a pubblicare un suo titolo. Un anno dopo, nel 2020, la notizia del Premio Nobel per la letteratura a Louise Glück veniva accolta in Italia con sorpresa e diffidenza. Reazione prevedibile, considerando che in più di cinquant’anni di attività poetica della poetessa americana, i lettori italiani sono rimasti praticamente a digiuno delle sue opere.
Eppure-fortunatamente-pare che nell’ultimo anno si sia destato un interesse per l’autrice pluripremiata, che sta dando i suoi frutti in una serie di nuove edizioni in italiano con testi tradotti da Massimo Bacigalupo. E’ il caso dell’edizione de “L’Iris Selvatico” (1992) pubblicata nel Dicembre del 2020 da Il Saggiatore.
Vincitore del Premio Pulitzer nel 1993, l’Iris Selvatico (The Wild Iris), è una delle opere strutturalmente e narrativamente più complesse scritte da Glück. Nella cornice di un giardino edenico, si innesta un dialogo che vede protagonisti fiori e piante, che danno il nome alle poesie, ma anche una giardiniera-poetessa, alterego della stessa Glück, e la voce del divino. In quest’opera corale dalla vocazione confessionale, ogni personaggio si esprime in prima persona, commentando la propria condizione, dal bulbo dell’ Iris “coscienza sepolta nella terra scura”, al papavero che mostra il fuoco del suo cuore. Le poesie che prendono il nome dalla liturgia delle ore cristiana, invece, i Vespri e i Mattutini, sono lo spazio riservato alla voce della poetessa, che nelle proprie riflessioni personali inserisce di tanto in tanto il figlio, Noah, o il marito John.
In questo giardino archetipico del Vermont, in cui l’estate è breve e le stagioni si susseguono descrivendo la parabola della vita e della morte, il terzo elemento, quello del divino, si manifesta dialogando con i propri “figli” terrestri come un padre deluso, provato dalla fragilità dei suoi figli, talvolta rimproverato dalla poetessa per la sua assenza. Il dio con cui dialoga Glück, si esprime nelle poesie che portano il nome di fenomeni atmosferici, guarda dall’esterno le scene familiari che hanno come teatro il giardino, ma non risponde mai agli appelli della donna.
L’itinerario tracciato da Louise Glück nell’Iris Selvatico descrive così la bellezza dura della natura, destinata ad assistere alle vite inutilmente complicate degli umani senza poter innescare mai uno scambio verbale attivo, laddove la comunicazione è interrotta dalla distanza tra i due mondi. Resta al lettore il privilegio di “ascoltare” l’esperienza dei fiori, scoprendo, verso dopo verso, un universo lirico fatto di riflessioni esistenziali rapaci e allo stesso tempo di descrizioni consolatorie.
The Wild Iris è un opera che andrebbe letta all’aria aperta, in modo da lasciarsi trasportare dalle suggestioni del mondo esterno, del paesaggio, delle infiorescenze che, ognuna diversa dall’altra, riescono a portare un messaggio, che non solamente il sole ma anche la terra splende.
di Silvia Barbato