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Assistere alla lettura di alcuni capitoli da parte dell’autore o talvolta di un attore, avere la possibilità di ascoltare la genesi del libro, fare a caldo delle domande sul romanzo o, semplicemente, stringere la mano allo scrittore e farsi firmare la copia appena comprata, sembra oramai un miraggio.
Ecco, a me è mancato tutto questo quando, lo scorso maggio, è stato pubblicato STORIA DI UN BOXEUR LATINO di Gianni Minà, edito da Minimum Fax, tanto più che la sua fama di chiacchierone avrebbe reso unica ogni sua presentazione, in qualsiasi libreria o teatro.
“Storia di un boxeur latino” è la biografia di Gianni Minà e potrei fermarmi qui, non ci sarebbe nulla da aggiungere, perché basta già come motivazione per leggere questo libro.
La vita di Gianni Minà può essere riassunta in una sola parola: STRAORDINARIA, perché lui è un uomo fuori dall’ordinario.
L’unicità del suo percorso professionale e personale può essere sintetizzato, come fa lui stesso nell’introduzione, da una fotografia fatta a Roma, a Trastevere, davanti al ristorante Checco er carrettiere che raffigura cinque amici: Muhammad Alì, Sergio Leone, Robert De Niro, Gabriel Garcìa Marquez e Gianni Minà per l’appunto, ritrovatisi a cena per ascoltare le storie del campione di pugilato.
Veniamo travolti dai racconti dei suoi esordi come giornalista sportivo, per diventare documentarista e giornalista a tutto tondo.
Gli incontri sono tanti, i capitoli brevi ma intensi, e ci descrivono gli episodi più significativi della sua vita: da quelli celebri come la famosa intervista a Fidel Castro, o all’incontro con Tommie Smith alle olimpiadi del Messico del ’68, a suo mini tour con i Beatles o il rapporto speciale con Mennea, fino a quella volta che ha quasi rischiato la vita in Argentina facendo una domanda scomoda all’ammiraglio Lacoste, durante una conferenza stampa a Buenos Aires.
Un giornalista curioso, audace, coraggioso, leale, corretto e competente.
Un uomo coerente, di principio che non è sceso a patti con il mondo, non solo giornalistico, che stava cambiando e per questo è stato messo da parte dalla Rai, quella stessa RAI che con programmi come Blitz faceva divulgazione ed informazione vera.
Il libro racconta di un’Italia e forse anche di un mondo che non esiste più, pre – internet, dove non c’era questa sovraesposizione mediatica costante e imprescindibile, dove le notizie si raccontavano per far conoscere realtà lontane ed inarrivabili e non per mero sensazionalismo.
Storia di un boxeur latino va letto, senza se e senza ma, specialmente dai ragazzi della cosiddetta generazione Z, perché è un tributo ad un pezzo di storia del nostro Paese.
Paola Improda