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Scrittore, poeta, critico letterario, giornalista ed editore, Edgar Allan Poe è stato un genio sfortunato. Autore prolifico e dotato di spietato senso critico, ebbe una vita costellata di vicende tragiche. Ma soltanto dopo la sua misteriosa morte si delineò il mito dello scrittore maledetto, il primo “autore alienato d’America”. Ad oggi la sua scomparsa rimane un enigma che alimenta il fascino oscuro dello scrittore bohemien: qual è la verità sulla morte di Edgar Allan Poe?
Una fama postuma, l’icona, il mito di Edgar Allan Poe ed una produzione letteraria estremamente caratterizzata dal punto di vista stilistico e tematico, sebbene il genere spazi dal racconto horror al giallo psicologico. Tutta la vita di Edgar Allan Poe sembra integrarsi perfettamente con l’immagine del poeta maledetto a noi tramandata. Ma i dettagli pittoreschi della biografia dell’autore statunitense non sono universalmente noti e soprattutto non basterebbero a delinearne il ritratto che ne abbiamo oggi.
Edgar Allan Poe nasce nel 1809. I genitori, due teatranti, muoiono quando il piccolo Edgar ha soltanto due anni. da quel momento in poi viene affidato al mercante John Allan, che si prenderà cura della sua istruzione fino alla rottura definitiva avvenuta quando il ragazzo aveva vent’anni. L‘allontanamento del padre adottivo segna un primo nodo cruciale nella formazione personale del giovane Poe, all’epoca studente presso l’Università della Virginia. Una serie di delusioni amorose, unite ai debiti di gioco e al vizio dell’alcool, portano il giovane ad abbandonare ben presto l’università e a intraprendere la carriera militare. Risale a questo periodo il poema epico Tamerlano (1827), pubblicato con uno pseudonimo.
Abbandonata anche la carriera militare, Edgar Allan Poe decide di provare a dedicarsi esclusivamente all’attività letteraria, sarà il primo scrittore americano che tenterà una vita sostentata dalla sola scrittura.
Ma il Diciannovesimo secolo non sorride alla sua iniziativa: la depressione economica del 1897 e la mancanza di una legge internazionale sul diritto d’autore stroncano i tentativi di indipendenza intellettuale ed economica di Poe, che è costretto a richiedere finanziamenti e prestiti umilianti.
La sua attività di critico letterario, tuttavia, inizia a procurargli una certa fama e contemporaneamente si impegna nell’attività di redattore ed editore di periodici letterari. Sono di questo periodo opere come il Manoscritto trovato in una bottiglia (1833) e le Avventure di Gordon Pym (1838).
Poe si trova a vivere a casa di una zia a Baltimora, dove conoscerà la sua futura moglie, sua cugina di secondo grado Virginia Clemm. E’ un periodo estremamente prolifico per la produzione di Poe che pubblica diverse poesie e critiche letterarie. Gli anni ’40 saranno aperti dalle grandi opere dell’autore da La Caduta della casa degli Usher (1840) a I delitti della Rue Morgue (1841, considerato il primo racconto poliziesco della storia).
Ma l’acmè, il culmine, della produzione letteraria di Poe, arriva negli anni 1842-1845, con i Racconti del Terrore che ispireranno la letteratura successiva. Si tratta di capolavori come La maschera della morte rossa e Il pozzo e il pendolo, del 1842, e Il gatto nero, del 1843, nonchè la raccolta poetica Il corvo (1845).
LA MISTERIOSA MORTE DI EDGAR ALLAN POE
La discesa agli Inferi di Edgar Allan Poe arriva con la morte della moglie Virginia, allora venticinquenne. La coppia ha recentemente lasciato Baltimora per trasferirsi nei sobborghi di New York dove Virginia si ammala di tubercolosi. La malattia e la morte della giovane moglie segneranno la successiva produzione letteraria di Poe, ma sopratutto porteranno lo scrittore, ormai tormentato, instabile e violento, a rifuggiarsi nell’alcool.
E’ da questo preciso punto della sua biografia che si crea il mito dello sregolato bohemien, un Edgar Allan Poe psicologicamente distrutto, dedito alle droghe, all’alcool e sopraffatto dai debiti. Ma dietro l’affascinante stereotipo del poeta maledetto -che in ogni caso anticiperà la produzione dei simbolisti e il “maledettismo”- si nasconde semplicemente un uomo a pezzi.
A questo punto Edgar Allan Poe scompare nel nulla. Verrà ritrovato in stato confusionale a Baltimora diversi giorni dopo la sua sparizione. E’ il 3 ottobre del 1849, Poe viene visto aggirarsi nei pressi di un seggio elettorale in una città in cui non doveva trovarsi in quel momento. Era diretto, infatti, a Philadelphia per una questione editoriale e misteriosamente riappare a Baltimora in stato delirante ripetendo in continuazione un nome: “Reynolds”.
Morirà quattro giorni dopo senza aver mai ripreso coscienza.
Ad oggi è impossibile dire in che modo sia morto Edgar Allan Poe. L’abuso di alccol, le condizioni psico-fisiche e il generale malessere dei sobborghi in cui abitava il poeta in quegli anni non ci lasciano escludere che sia morto a causa di problemi pregressi di salute o legati al vizio della bottiglia. Ma un’ipotesi alternativa sostiene che Poe possa essere stato vittima di un caso di Cooping.
Generalmente diffuso in quegli anni, il cooping era una truffa elettorale attuata tramite il rapimento di malcapitati che venivano drogati e picchiati allo scopo di manipolarne la volontà. La vittima di cooping veniva portata più volte sotto mentite spoglie ai seggi elettorali in modo da fargli votare un preciso candidato. Ciò rivaluterebbe, seppur parzialmente, la fama oscura di Allan Poe, un maudit che fu semplicemente vittima della propria vulnerabilità.
Al funerale di Edgar Allan Poe erano presenti meno di dieci persone. L’autore aveva quarant’anni, era terribilmente solo e abbandonato a sè stesso. Le ultime parole dedicate all’autore de “Il Gatto Nero” furono quelle dell’infamante necrologio scritto dalla nemesi letteraria di Poe, il suo esecutore letterario Rufus Griswold.
Pubblicato un memoir in cui il defunto autore era dipinto attraverso lo stereotipo ancora resistente dell’alcolizzato scrittore maledetto, Griswold si accaparrò i diritti delle opere di Poe. Nasceva così un mito che invece di stroncarne la fama avrebbe sancito l’immortalità del padre del genere noir.
«Mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia sia o non sia la più elevata forma d’intelligenza, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non derivi da una malattia del pensiero, da umori esaltati della mente a spese dell’intelletto generale.» |
(da Eleonora, 1841) |
Silvia Barbato