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La quinta giornata del MIDDLE EAST NOW di Firenze – Festival del cinema mediorientale diretto da Lisa Chiari e Roberto Ruta, giunto alla sua 11esima edizione – è iniziata con la proiezione di un documentario work in progress “CUTTING THROUGH ROCKS” di Sara Khaki e Mohammad Reza Eyni.
I due registi, presenti in sala, hanno introdotto l’anteprima del documentario (15’) che stanno realizzando a Bezin, remoto villaggio iraniano molto conservatore.
La protagonista è Sara Shahverdi, 37 anni, motociclista, proprietaria di un terreno, ex ostetrica che ha fatto nascere praticamente quasi tutti i ragazzi del villaggio, Prima consigliera comunale, donna, dell’intera regione, insomma un’eroina.
Sono bastati solo 15 min. di proiezione per farci capire perfettamente l’attuale situazione di arretratezza di quella parte dell’Iran, lontano solo 300 km dalla capitale.
Sara e Mohammad continueranno a girare ancora un altro anno, seguendo parallelamente oltre alla protagonista, altri tre personaggi femminili collegati a lei.
Un progetto in divenire dove lo spettatore, oggi, ha potuto, in un certo qual modo, contribuire alla sceneggiatura, visto che alla proiezione è seguito un interessantissimo dibattito voluto dai registi, proprio per cogliere le sensazioni a caldo del loro lavoro appena proiettato.
Infine ci teniamo a sottolineare che il film non è girato in lingua farsi, ma nella lingua autoctona della regione: l’azero, che è anche zona di origine del regista Mohammad Reza Eyni e parlata dal 40% della popolazione iraniana.
La giornata è proseguita con la proiezione di un altro documentario di Mohammad Reza Eyni, THE FRIEND’S HOUSE, pellicola ritratto – così definita da lui stesso – del più importante pittore iraniano Abolghasem Saidi, ultranovantenne trapiantato a Parigi da 70 anni.
Se inizialmente il pittore, all’idea di girare un film su di lui, era sembrato entusiasta, man mano che guardiamo il film ci rendiamo conto che la realizzazione è stata molto più difficile di quanto avesse preventivato Mohammad.
Ostilità, reticenza e diffidenza sono i sentimenti che spingono Saidi ad evitare di incontrare il regista a Parigi, ma alla fine la determinazione di Reza Eyni lo convincerà a cambiare idea.
Abbiamo chiesto al regista da cosa fosse spaventato o da chi si sentisse minacciato il protagonista, da spingerlo a comportarsi in questo modo e, apprezzando la domanda, ci ha spiegato che Saidi avendo lasciato il Paese d’origine 70 anni fa, non conosce l’attuale situazione – anche politica – dell’Iran e, anche a causa dei messaggi veicolati dal mondo europeo, temeva che qualche Ente Governativo volesse arrestarlo o spiarlo o altro ancora… ma alla fine ha compreso che le giovani generazioni iraniane sono interessate, senza secondi fini, alla cultura e all’arte in generale, e a quella del loro Paese in particolare.
Il pomeriggio si è concluso con la proiezione del film BEIRUT, LA VIE EN ROSE del regista spagnolo Eric Motjer Pintu, preceduto dal cortometraggio saudita THE WEDDING DRESS di Mohammed Salman.
Eric Motjer ci mostra, attraverso il racconto, la vita di quattro famiglie dell’èlite cristiana libanese, tutti gli eccessi, le contraddizioni e a volte la sfrontatezza inaspettata di certi comportamenti, in un Paese tanto complesso qual è il Libano.
Vediamo Roger Edde, segretario del partito della pace, molto attivo nella vita politica del Paese, tanto da definirsi l’unica persona adeguata per la Presidenza del Libano, che contestualmente costruisce resort (Eddesands hotel & wellness resort) e ridisegna l’aspetto e l’economia dell’intera città di Byblos.
Entriamo nel bellissimo palazzo – adiacente al museo – della famiglia Sursock, restaurato e tenuto in vita da Yvonne Cochrane Sursock, una delle dame più influenti del Libano, e da suo figlio che ha cercato di continuare il lavoro del nonno, fondatore dell’associazione Amsad per la conservazione dei vecchi edifici.
Lady Sursock nasce ducale, da una mamma napoletana Serra di Cassano e dall’imprenditore Sursock, ha vissuto la vera Beirut cosmopolita, elegante e scintillante. Nei suoi occhi c’è tutta la malinconia per quel mondo, dei tempi d’oro andati e la consapevolezza che non potranno tornare mai più.
Resta un docufilm che ti lascia un po’ spaesato ma ancora più incuriosito di questo piccolo grande Paese, con le sue contrapposizioni tra religione, potere, soldi e conflitti.
La serata si è conclusa con il focus sulla Palestina che prevedeva la proiezione del corto SELFIE ZEIN di Amira Diab e del lungometraggio BETWEEN HEAVEN AND EARTH di Najwa Najjar.
Paola Improda