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Ieri sera al Teatro Nuovo di Napoli abbiamo assistito allo spettacolo NOSTALGIA DI DIO dove la meta è l’inizio scritto e diretto da Lucia Calamaro, in scena fino a domenica 23 febbraio.
Prendere posto in sala e vedere il sipario aperto, luci accese e attori in scena è atipico, a tratti destabilizzante perché ci si sente quasi improvvisamente inglobati nello spettacolo senza sapere cosa fare, avendo la sensazione di aver interrotto le prove, una piacevole sensazione di spaesamento, di inadeguatezza.
INADEGUATEZZA che potrebbe essere il leitmotiv di tutto lo spettacolo della Calamaro: inadeguatezza nei confronti del mondo, della vita, delle difficoltà quotidiane.
“Questa volta, Lucia Calamaro si avventura a parlarci addirittura di Dio, con i suoi inconfondibili personaggi un po’ bizzarri, goffi, in difficoltà nella vita, nelle relazioni, negli affetti, nella vita sociale, che, in qualche modo, hanno conservato qualcosa d’infantile, svelandosi nei dialoghi serrati e raccontando le nostre fragilità interiori, decifrate con amorevole ironia”.
Francesco (Francesco Spaziani) sta giocando a tennis, come di consueto, con il suo migliore amico Alfredo (Alfredo Angelici) e a guardarli ci sono la sua ex moglie Cecilia (Cecilia Di Giuli) e la sua cara amica Simona (Simona Senzacqua).
Un pomeriggio qualunque in una qualsiasi città di periferia, scandita da tempi lenti che danno spazio a riflessioni profonde ed esistenziali.
È Simona ad interrogarsi per prima sul senso della vita, si rivolge ad Alfredo in quanto “esperto in materia”, essendo prete, della vera volontà di Dio, del perché siamo stati creati, forse solo per capriccio, perché per lei Dio è solo un bambino che non sa quello che fa e gioca con le nostre vite – negandole la possibilità di avere un figlio. È poi il turno di Francesco, che non riesce ad accettare la separazione da Cecilia, non riesce a rinunciare all’essere l’uomo di casa, a vivere la quotidianità familiare e si fa logorare dalla nostalgia di casa.
infine c’è Cecilia che si sente libera di essere se stessa dopo la separazione, di avere i suoi spazi, il tempo per fare le sue ricerche ma in fondo lei stessa non sa più chi è e cosa vuole.
Ancora una volta Lucia Calamaro affronta a viso aperto il problema delle relazioni umane, la difficoltà di stare al mondo, questa volta dal punto di vista della generazione dei quarantenni che hanno raggiunto molti degli obiettivi prefissati, ma che adesso scoprono che forse non hanno più senso.
I protagonisti sono attraversati da quel continuo senso di spaesamento ed insoddisfazione legato a doppio filo alla nostalgia del passato, a quell’età bambina dove tutto era semplice, nuovo, soddisfacente… come ad esempio raccogliere il vento di casa in un barattolo.
La forza di riprovarci però è proprio sotto ai loro occhi: è l’affetto che li lega l’uno all’altro e li tiene uniti, come in un abbraccio.
Paola Improda