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È un dato di fatto che la prematura scomparsa di Annibale Ruccello sia stata una grave perdita per la drammaturgia teatrale napoletana ed italiana, ed ogni volta che si ha la possibilità di vedere in scena un suo spettacolo ce ne ricordiamo e rammarichiamo.
È accaduto anche ieri sera, alla prima delle Cinque rose di Jennifer, opera che Ruccello scrisse a soli 24 anni. Lo spettacolo, per la regia di Gabriele Russo, interpretato da Daniele Russo e Sergio Del Prete, è in programmazione fino al 10 novembre.
Napoli anni 80.
Il sipario si apre con il protagonista che è sull’uscio di casa, sta rientrando dopo aver fatto la spesa, sente squillare il telefono e si precipita dentro ma non riesce a rispondere in tempo e se ne dispera. Freneticamente svuota le varie buste, si sveste, si trucca e indossa una sfarzosa vestaglia da notte fucsia, per poi sedersi accanto al telefono ad aspettare la telefonata del suo fidanzato Franco.
Le sue giornate sono scandite dall’estenuante attesa della telefonata del suo amato.
A rendere ancora più snervante l’attesa è il fatto che nel quartiere c’è un problema di interferenza telefonica, per cui Jennifer (Daniele Russo) riceve sistematicamente le chiamate di tutti gli abitanti, che se da un lato le fanno compagnia, dall’altro le impediscono di avere la sua linea telefonica libera per Franco..
Altro elemento fondamentale e di compagnia, che scandisce le sue giornate, è la radio che trasmette solo canzoni di Mina, Ornella Vanoni, e soprattutto Patty Pravo. Jennifer infatti, non curante delle notizie di cronaca che raccontano di un maniaco che ammazza sistematicamente trans, usa la sua radio per ascoltare programmi trash e per dedicare, ogni giorno, Se perdo te, di Patty Pravo, al suo amore, nell’attesa che torni da lei.
A disturbare la sua routine sarà Anna (Sergio del Prete), altro travestito del suo quartiere, che aspetta una telefonata importante ma, a causa delle interferenze, teme possa arrivare a Jennifer. Il dialogo tra le due donne è surreale, la non accettazione del loro corpo, della loro condizione, è talmente radicata che quasi ci sembra naturale sentirle parlare di figli, mariti, cicli mestruali e problemi ormonali.
Jennifer è ironica, romantica, speranzosa, a tratti superficiale, allegra, colorata, euforica ed anche volutamente kitsch. Ma dopo i primi venti minuti di spettacolo, la sua tristezza e malinconia entrano dentro di noi, e lì restano fino alla fine della pièce. Questo accade anche grazie all’intuizione del regista di avere Anna sempre in scena, in penombra, quasi a rappresentare la personificazione della TRISTEZZA, l’ombra di Jennifer stessa, mimando i suoi gesti, i suoi rituali, però con fare spento, con gli occhi grigi, senza energia. Anna è lo specchio di Jennifer, forse una sua proiezione, il suo inconscio, come ammette lo stesso regista nelle sue note.
Osservare Jennifer, spiarla in casa sua è un privilegio assoluto. Veniamo proiettati immediatamente in un mondo di frustrazione, solitudine ed inquietudine devastante.
Nonostante tutti gli sforzi di Jennifer, la realtà riaffiora sempre, alle volte anche in maniera violenta, travolgendola completamente.
Jennifer è una donna, un uomo, un travestito, è tutte queste cose insieme, è una persona e come tutte le persone anela l’amore, vuole disperatamente colmare il suo vuoto interiore. E sarà proprio il desidero di amare ed essere amata, di essere vista ed accettata, di essere scelta e voluta, a condannarla a morte.
È uno spettacolo vero, bello, ironico ma allo stesso tempo assolutamente drammatico, interpretato magistralmente dai due protagonisti che sapientemente e con cura hanno preparato, approfondito, e studiato i due personaggi, dando vita ad una Jennifer (ed al suo alter ero) meravigliosa alla quale è facile affezionarsi.
Paola Improda
fotografia di scena mario spada