“Il vizio della speranza”: lotta tra oppressione e desiderio di libertà, nel film di De Angelis

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Dopo il successo di Indivisibili, Edoardo De Angelis torna sul grande schermo con “Il vizio della Speranza”: ancora una storia cruda, di degrado, di sentimenti forti e sullo sfondo sempre una Castel Volturno, se possibile ancora più fatiscente, dove l’immondizia si perde a vista d’occhio, le donne sono meretrici e sacrificano i loro bambini al traffico illegale dei neonati e ci si muove tra le acque scure del Volturno.

Vincitrice del Premio del Pubblico alla festa del Cinema di Roma la pellicola si spinge nella massima disperazione del genere umano, penetrando in un territorio dove sembrano esserci solo donne. Una degenerazione da cui pare non vi sia alcuna via d’uscita, simbolismi e religione trasportano lo spettatore verso il fondo di queste vite, dove la rassegnazione è la massima aspirazione di serenità.

In questo scenario si muove la protagonista Maria (Pina Turco), raccolta dalle acque in fin di vita da un giostraio (Massimiliano Rossi), nella prima scena del film, ragazzina e con l’abito della prima comunione ancora indosso, stuprata e gettata nel fiume. La Maria adulta si muove tra i cumuli di spazzatura con il suo cane, anch’ella fedele esecutrice di Zì Marì (Marina Confalone), anziana quanto spietata boss del traffico di neonati. Ma la ragazza ha un improvviso scatto di ribellione al suo terribile compito: “traghettatrice” delle prostitute verso il terribile posto dove, una volta partorito, le avrebbero private dei loro bambini, ne lascia scappare una, Fatima, pentita del terribile patto contratto! Anche Maria, a dispetto della sua dichiarata sterilità, aspetta un bambino, una gravidanza senza speranza, visto come era stata ridotta da bambina, che se non interrotta la porterebbe a morte certa, tuttavia non ha alcuna intenzione di abortire! Da qui comincia la sua corsa contro il tempo, un tempo che le cambia la vita, che le infligge sferzate ancora più dure ma le accende, con il suo bambino, il seme della speranza, un vizio pericoloso in tanta oppressione.

La sua fuga trova accoglienza tra altre disperate come lei, ma là il messaggio di speranza che porta con se non merita solidarietà degli oppressori, la crudeltà di Zì Marì nel suo accanimento serve per scoraggiare ogni scintilla di speranza, di desiderio di una vita diversa, di libertà da quella schiavitù che va oltre le catene: deve essere totale, insita, un marchio da imprimersi nella mente. Lo esprime chiaramente, nell’intensa interpretazione di Zì Marì, Marina Confalone, in un’emblematica frase: “Siete tutti fissati co’ sta libertà, ma non sapete neanche che cos’è. È un campo vuoto, senza niente.” Invece, nonostante le terribili difficoltà Maria, che prima sembrava non possedere emozioni, comincia a sorridere a disperarsi, ad amare la vita che porta dentro di sé, fino alle estreme conseguenze.

Perfetta la colonna sonora, di Enzo Avitabile come in Indivisibili, da cui alcuni pezzi sono mutuati. Un sound afronapoletano e testi intensi e graffianti, come questa pellicola, di cui la musica scandisce i battiti del cuore, arrivando fin le profondo.

Lucia Dello Iacovo

 

Regia: Edoardo De Angelis

Interpreti: Pina Turco, Massimiliano Rossi, Marina Confalone, Cristina Donadio, Marcello Romolo

Distribuzione: Medusa

Durata: 90′

Origine: Italia 2018

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