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Sabato 10 novembre, alle ore 21.00, presso sul teatro T 34, in via Trieste, 34 a Piacenza Pino L’Abbadessa presenta “Malpelo il Rosso”, liberamente ispirato a Giovanni Verga.
“Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone.”
Il regista affronta ancora una volta il tema a lui molto caro dello sfruttamento, della sofferenza, delle fatiche umane e questa volta lo fa partendo da Verga dalla novella “Rosso Malpelo” dall’incipit tanto assurdo quanto veritiero per l’epoca che il colore dei capelli distingueva una personalità malvagia.
Pino L’Abbadessa capovolge il titolo originario e chiama la sua nuova creazione teatrale: Malpelo il Rosso.
La novella è un pretesto, di affrontare i fatti attuali attraverso la letteratura e il teatro e Malpelo un punto di riferimento per parlare dei diritti dell’infanzia; la novella diventa uno spunto per affrontare la piaga sociale dello sfruttamento minorile. Il duro lavoro nelle cave di rena di fine ottocento e lo sfruttamento delle classi disagiate, va di pari passo con tanti altri esempi di sfruttamento minorile dei nostri giorni, come ad esempio l’estrazione da miniere illegali del coltan ed altri minerali, oltre alla produzione di palloni, scarpe e tappeti.
Nel pieno rispetto del verismo verghiano, lo spettacolo ci mostra il narratore che, mimetizzandosi negli stessi personaggi, pensa e sente come loro e adotta il loro stesso modo di esprimersi.
In un gioco continuo di primi piani e di punti di vista, il narratore mette in atto così tecniche di straniamento, e contemporaneamente coinvolge l’attore nell’interpretazione dei personaggi della novella. Lo spettatore viene così coinvolto in una sorta di dibattito, ” un faccia a faccia con i fatti “, dove al mondo della miniera che accetta in modo passivo i meccanismi della lotta per la vita, viene a contrapporsi il punto di vista del protagonista che è illuminato da una sua consapevolezza critica.
Il fatto
Malpelo lavora in una cava di rena rossa con il padre Mastro Misciu, che un giorno, spinto dal disperato bisogno di soldi, accetta la richiesta del padrone di abbattere un pilastro molto pericoloso e una sera proprio quel pilastro gli cade addosso e rimane sepolto. Malpelo è disperato e diventa sempre più scorbutico. In seguito alla cava arriva a lavorare un ragazzino claudicante soprannominato “Ranocchio“, che viene adottato da Malpelo nell’intento di proteggerlo e di forgiarlo, ma anche il ragazzino, ammalato di tubercolosi e stremato dalla fatica, muore. A quel punto Malpelo, rimasto solo, assume il compito rischioso di esplorare una galleria abbandonata e si addentra in un cunicolo dal quale non ne uscirà mai più.
I ragazzi della cava ancora temono di vederselo spuntare da un momento all’altro con i suoi “occhiacci grigi e i capelli rossi”.