Napoli, al Cellar theory, successo per “The year that changed jazz”

Views: 10

jam

La jam session itinerante e monografica a cura di Giulio Martino e di Culture Beat di Alessandro Aspide riprende con grande successo e con una fresca energia. La location questa volta è Cellar Theory, un locale ideale per serate in cui si desidera ascoltare musica di qualità o gustare un drink senza invadere l’arte. Il locale infatti dispone di una sala accogliente con un palcoscenico ampio in cui c’è lo spazio ideale per potersi esibire in più persone e con strumenti di diverse dimensioni, a fianco c’è un angolo riservato dove i musicisti possono “scaldarsi”, coordinarsi o disporre di momenti di rilassamento prima di effettuare le performance.

In questo accogliente e colorato locale domenica sera, 31 gennaio, il 1959, “The year that changed jazz”, è il grande protagonista col suo carico esplosivo di dischi che hanno fatto la storia del jazz.

Sul palcoscenico nella solita ed ormai collaudata staffetta con un avvicendamento di musicisti si creano ensemble briosi e affiatati.

Il primo brano rende subito chiara la dimensione di gran spessore della serata. Con atmosfere suggestive e luci blu, ecco la musica di John Coltrane con Naima, celeberrimo brano dedicato alla moglie. Al pianoforte il Maestro Francesco D’Errico che con la sua raffinatezza s’inframezza con le melodie seducenti dei due sax di Giulio Martino e Gregory Dudziensk, e con gli altri strumenti ben interagenti, tra cui l’onnipresente chitarra di Alberto Cannavale.  Giulio Martino, che  tra un brano e l’altro offre interessanti notizie sulla storia dei dischi e degli artisti della tematica scelta, preannuncia un brano tratto dal Disco del Millennio  Kind of the blue del grande trombettista Miles Davis. Nel 2003 la celebre rivista musicale Rolling Stones nella sua classifica sui 500 migliori album di ogni tempo indicò il disco al 12º posto. Ed ecco le note di Flamengo Sketches prendere corpo in un susseguirsi di melodie accattivanti.

Nel continuo avvicendamento sul palcoscenico dei musicisti, una menzione particolare va fatta ad Alexandre Celdà Belda che col suo rilucente basso tuba, assieme ad una virtuosa batterista, Federica Sciola, e ad atri sei musicisti, contribuisce a creare un momento vivace e assai piacevole, dai ritmi accattivanti e ben scadenzati dei due brani di Charles Mingus, Fables of Faubus e Jelly Roll. L’allegria e la freschezza del primo, con “fughe” del pianoforte in cui s’inseriscono le calde voci dei sax in un simpatico dialogo, contrasta col messaggio di denuncia di Mingus. Fables of Faubus fu scritto, infatti, per protestare duramente contro un governatore razzista. Il secondo brano è invece un omaggio che Mingus volle fare a Jelly Roll Morton, musicista dei primi del Novecento, ricordato anche nel film “La leggenda del pianista sull’oceano” nelle vesti di colui che fu considerato il padre del jazz e del ragtime e che sfida a duello Novecento, in una delle scene più avvincenti del film.

La serata prosegue ancora con Miles Davis. Questa volta sono le note di All blues che allettano il numeroso pubblico sempre più coinvolto e caldo, con ben otto musicisti sul palcoscenico, seguito da una interessante esecuzione di  What is this thing called love di Cole Porter, in cui fa il suo ingresso l’elegante flauto di Francesca Masciandaro. Ancora una volta Davis fa sentire la sua forza con Freddie freeloader, così come il grande Mingus riecheggia con Goodbye Pork Pie Hat cantato da Natascia Palmina D’Amico. Naturalmente il dulcis in fundo non poteva che essere Kind of blue con il celeberrimo e stupefacente So What che conclude la serata effervescente con un affollamento sul palco di musicisti sempre più affiatati che danno vita ad un finale esplosivo e molto soddisfacente.

La serata diventa un cocktail di belle musiche, eseguite da tanti bravi musicisti da menzionare, oltre a quelli già citati:  Giulio De Asmundis , Vittorio de Sangro, Davide Di Sauro, Giuseppe Donato, Andrea Dosi, Francesco Furia, Nicola Mozzillo, Milena Pirozzi, Luigi Sabetta e Paolo Zamuner .

Non poteva iniziare meglio il nuovo anno di Culture Beat Jazz Meeting di Culture Beat.

 

Daniela Vellani

 

 

Print Friendly, PDF & Email