Libri: “Nessuno può conoscermi”, intervista a Giorgio Coppola, autore del romanzo

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di Daniela Vellani

 

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Giorgio Coppola

Sabato 16 gennaio 2016, ore 10.00, presso il Museo PAN (Palazzo delle Arti Napoli) in via dei Mille a Napoli, l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli presenta l’evento: Introduzione al romanzo “Nessuno può conoscermi” di Giorgio Coppola, Robin Edizioni (2015). Intervengono: Nino Daniele , Assessore alla Cultura Comune di Napoli, Carla Di Napoli, giornalista e  Giorgio Coppola,  autore del libro.

Letture di Maria Alessandra Masucci ( nel ruolo di Syria) e Davide Diani (nel ruolo di Luca) musiche di Giulio Martino, sassofonista.

Per l’occasione abbiamo incontrato e intervistato l’autore del romanzo, Giorgio Coppola

Benvenuto a “DifferenteMente” e complimenti per il grande successo che sta riscuotendo col suo primo romanzo pubblicato “Nessuno può conoscermi”. Lei è avvocato, la sua professione è stata fonte di ispirazione per il romanzo?

Intanto, grazie per l’attenzione nei miei riguardi. Credo che la scrittura comporti necessariamente porre se stessi e il proprio sentire all’interno della prosa. Questo non ha nulla a che fare con l’autobiografia, ma, almeno per quanto mi riguarda, scrivere ha un valore terapeutico. In tal senso, sicuramente la mia professione e le esperienze ad essa connesse hanno avuto influenza nella costruzione della storia, che resta, comunque, frutto di fantasia. Quanto al successo, è una questione di poco conto, che mi inorgoglisce, certo, ma lascia pur sempre il tempo che trova. Aver ricevuto commenti bellissimi, quello sì. Un obiettivo che hanno tutti coloro che scrivono è emozionare il lettore. Riuscirci genera una gioia pura e primitiva. Molti mi hanno comunicato di aver pianto durante la lettura: non esiste nulla di più gratificante per uno scrittore.

La trama è molto intrigante e introspettiva e affronta tematiche delicate: adozione, un passato da dimenticare ed uno che ritorna, momenti di suspense, colpi di scena… vuole parlarne? Senza rivelare troppo, però.

È  un romanzo d’amore e d’appartenenza. La distinzione tra il sentimento provato verso l’altro e quello verso la prole è la base su cui viene costruita la vicenda, che ha come sfondo la storia che lega due giovani, Luca e Syria, e la loro crescita, condizionata dalle vicende che ciascuno ha vissuto in passato. Joshua è colui che li mantiene uniti, il figlio di lei, affidato a lui. Nonostante l’assenza del legame di sangue, il loro rapporto si consolida sino a rendere i due inscindibili. L’io narrante è proprio Luca, che confida la sua storia all’avvocato incaricato di difenderlo dalle richieste del padre naturale di Joshua; nel racconto, Luca si confessa, soprattutto s’interroga, attanagliato dai dubbi della vita e dalle scelte effettuate, conscio della deriva assunta, e, al contempo, strenuo difensore di quelle stesse scelte che ritiene uniche proprio perché dettate dall’amore. Come ha ben evidenziato Apollonia Striano in una recensione per “Repubblica”, il romanzo si trasforma in thrilling sentimentale, nel quale ognuno immagina il finale che più gli sta a cuore. Salvo scoprire che non è quello.

A chi ha dedicato il libro?

In principio non era dedicato a qualcuno, almeno quando l’ho scritto. Era l’agosto del 2014, e non potevo immaginare che, appena un anno dopo, avrei perso mio padre. La malattia e poi la morte hanno deviato il corso verso la sua figura, immortalata, anche nella copertina del libro, dal disegnatore napoletano Marco Barone. Mio desiderio era regalargli il romanzo prima che se ne andasse. Non ci sono riuscito. Però, almeno lo ha letto, seppur su fogli sparsi; già questo mi rallegra. Non siamo eterni e, se non impariamo ad accettare la finitezza dell’essere umano, non impareremo mai a vivere la vita nella sua pienezza. Se scrivo, comunque, lo devo a lui, e alla sua bellissima biblioteca in cui sono cresciuto. E dove vivo ancora. Allo stesso modo di come lui ancora vive con me.

 

Si parlerà del  libro durante un incontro introduttivo al Pan, il 16 gennaio. Le sue presentazioni sono coinvolgenti e originali, può anticiparci qualcosa di questa?

Qualche tempo fa seguii su Facebook una discussione tra alcuni scrittori avente come tema proprio le presentazioni. I più le ritenevano inutili e vanagloriose, asservite solo al vacuo orgoglio dell’autore e alla vendita dei libri. Non sono d’accordo. Intanto, ritengo che un libro vada pubblicizzato sempre, ed è lo scrittore, in primis, a doverlo fare. Poi l’editore, ovviamente. Inoltre, credo sia diritto del lettore – seppur non incluso nel decalogo di Pennac – avere la possibilità di guardare negli occhi lo scrittore, fargli delle domande o, semplicemente, restare in silenzio. Chi scrive è fatto di pelle e di ossa, è giusto poterlo, in senso metaforico, “toccare”. Al contrario, credo che sia ingiusto celarsi o utilizzare pseudonimi. Io pubblico, dunque sono, esisto, ho il mio sentire, lo riverso negli scritti donandolo al lettore, che deve avere, a sua volta, la possibilità di confrontarsi.

Ovviamente alle presentazioni si tenta anche di vendere libri, mi sembra naturale. Cosa c’è di male? Però, mi piace anche allietare il pubblico presente, per ringraziarlo, prima di tutto, di essere intervenuto. Per tale motivo, le mie presentazioni prevedono sempre qualcosa di alternativo, in genere cerco di unire diverse arti, come la musica, il teatro e la prosa. Per il Pan non ho ancora deciso, ma, oltre all’Assessore Nino Daniele, ed alla giornalista Carla Di Napoli, ci saranno i due lettori, Davide Diani e Maria Alessandra Masucci, e il sassofonista Giulio Martino. Qualcosa ci inventeremo, preferisco l’estemporaneità. Ma, almeno in questo caso, non voglio distogliere l’attenzione dai due relatori.

So che ha pubblicato anche una raccolta di poesie, ce ne parla?

Mi è più congeniale scrivere versi. Questo, per onestà intellettuale, lo devo ammettere. Sono molto legato alla poesia, di cui sono accanito lettore. Ne ho scritte molte nel corso della mia vita, seppur rimaste custodite nei cassetti. Poi, il destino, gli avvenimenti improvvisi, le domande senza risposta, e la consequenziale decisione di pubblicare. Provare: era questo il senso. Mettermi in gioco. Anche la scelta di quelle da inserire nella raccolta è stata mossa dal medesimo motivo. Sono poesie più “antiche”, con un linguaggio che oggi non ho più, ma alle quali ero – e sono – profondamente legato. Il successo è stato inaspettato, e devo ringraziare Albatros, la casa editrice. La poesia è un singhiozzo dell’animo, e ne scrivo quasi tutti giorni. Non sempre accettabili, ma poco importa; trovo illuminante per la vita stessa il poter fermare un’emozione. Come diceva Elliot, a volte gli stessi poeti non comprendono le proprie poesie; questo spiega perché esse, una volta divulgate, diventano di proprietà di ogni singolo lettore. Sono contento di vedere oggi un nuovo fermento intorno a quest’arte, che ritengo la più nobile tra tutte. Ma anche la più ostica: guardarsi allo specchio fa male, questo è il motivo per cui, spesso, si rifugge dall’arte poetica. Manca, comunque, un’educazione alla lettura, troppo poco ciò che si fa nelle scuole, che pur è meritorio. Dovrebbero istituire una nuova cattedra: educazione alla lettura.

Durante alcune serate di jazz a tema, una voce narrante ha letto suoi racconti molto interessanti su grandi personaggi di questo genere musicale, da cui si evince un altro suo grande interesse, come è nato?

La musica è il mio primo amore. E il primo amore non si dimentica mai. Mia madre racconta che, quando ero piccolo, conosceva un unico modo per tenermi buono: inserire un vinile nel mangiadischi. “Erba di casa mia” di Massimo Ranieri, un disco consumato dall’uso. Poi, crescendo, ho attraversato tutti i generi musicali, sino ad approdare al blues, e di lì al jazz. Avevo 17 anni, vidi De Niro suonare il sax in “New York New York” ed il giorno dopo avevo tra le mani il mio primo “Borgani” – oggi possiedo tre Selmer -, e un maestro, Bob Fix. All’epoca, però, lui suonava con Gino Paoli, per questo mi affidò a Giulio Martino, cui riconosco, non solo un’immensa arte, ma il dono di avermi fatto scoprire la bellezza dell’improvvisazione. Per me, uomo libertino, è stato folgorante. Ma non si può comprendere il jazz, se non si approfondiscono le biografie dei grandi interpreti. Le conosco tutte. Ho divorato libri su libri, imparato a memoria aneddoti e leggende. Così, sono stato chiamato a scrivere brevi racconti da leggere durante jam session, che in verità erano monografie. Serate dedicate ad un solo musicista o ad un periodo preciso. Un’idea bella, soprattutto interessante. Gli scritti li ho raccolti, magari un giorno li pubblicherò.

Giorgio Coppola e la scrittura creativa, ne parliamo?

L’idea nacque durante un colloquio con le maestre dei miei figli. Ci confrontavamo sulle possibilità alternative da concedere agli alunni, oltre i moduli scolastici. Da appassionato, proposi un mini corso sulla scrittura creativa, ovvero imparare a utilizzare ciò di cui tutti sono dotati: la fantasia. Ho imparato da Rodari che anch’essa ha le sue regole. E’ stata una delle esperienze più belle che ho vissuto nella mia vita. Avere confronti con i ragazzi permette di donare e ricevere: ho imparato tantissimo, e devo io ringraziare loro e chi mi ha permesso di farlo. Quest’anno ripeterò questa esperienza per il tramite dei Pof. Devo confessare una cosa: ho scoperto dei talenti puri. È nostro compito aiutare questi giovani, educarli al bello, ed alla cura dell’arte. Infondere questo insegnamento permette loro di aver cura anche di se stessi, e di trarre dall’animo gli spunti necessari per dare alla vita quel senso che da adulti neghiamo.

Qualche anticipo sui prossimi lavori?

Nel 2016 pubblicherò, sempre per la Robin Edizioni, un romanzo breve prima dell’estate. Spero abbia una adeguata diffusione, perché è una riflessione sull’epoca che viviamo, sull’Europa unita e le singole individualità, sulla deriva della società, e sui problemi esistenti che evitiamo di affrontare, chiudendo gli occhi. In autunno, invece, uscirà la seconda raccolta di poesie. Sono molto contento, e questa volta ho fatto una cernita diversa, molto sentita. Il volume, inoltre, sarà illustrato. Intanto, ho terminato un altro romanzo, di cui sono molto orgoglioso. Ma di questo ne parleremo in futuro. Per ora, mi godo questi picchi di felicità. Potessi trascorrere i miei giorni scrivendo, avrei dato alla vita quel senso che cerco da sempre.

 

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Giorgio Coppola

Lo scrittore Giorgio Coppola, è avvocato del foro napoletano, specializzato nel Diritto di Famiglia, vice coordinatore dell’Ordine degli avvocati di Napoli e membro del Direttivo delle Camere Minorili e delle Relazioni Familiari di Napoli, recentemente membro fondatore dell’associazione “Divorzio al volo”. E’ esperto della musica di ogni genere ed è stato direttore artistico di due festival Jazz e di vari music bar, suonando anche in diverse jazz band e rhythm’n’ blues. E’ sassofonista tenorista e sopranista. Nel 2014 per Albatros ha pubblicato la raccolta di poesia “Dell’amore del destino ed altri inganni”. Scrive recensioni e accattivanti e spesso ironici racconti, aneddoti di vario genere, che anche se inediti, sono stati e sono resi pubblici in determinati contesti come eventi, social network e blog. E’ risultato finalista in diversi concorsi letterari e alcune sue poesie sono state pubblicate in raccolte di Aletti Editori e il Club degli Autori.

 

 

 

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