3P rivive in “Ciò che inferno non è”

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Inferno la parola chiave del nuovo romanzo di Alessandro D’Avenia, uscito nelle librerie lo scorso 28 ottobre, accompagnato dall’insostenibile attesa di chi ha conosciuto lo scrittore palermitano grazie ai suoi precedenti capolavori: “Bianca come il latte rossa come il sangue”, divenuto best seller internazionale e “Cose che nessuno sa”, una vera e propria apologia dell’adolescenza. L’inferno, secondo D’Avenia, è dove personaggi come il Cacciatore, ‘u Turco, Madre Natura, si ritrovano a salutare con sorrisi felini bambini impegnati in giochi barbari, non completamente ignari del destino che attende loro, perché se nasci in un quartiere come Brancaccio, è difficile sperare “Ciò che inferno non è” possa sfiorarti in qualche modo, a meno che il tuo sguardo smarrito non incontri quello fermo e sicuro di Padre Pino Puglisi, meglio conosciuto come 3P dagli alunni del liceo classico in cui insegna.

d'avenia

È  lui il vero protagonista del romanzo, lui il vero eroe in un mondo violento e crudo come quello della mafia palermitana, il suo sorriso emblematico l’unico mistero ancora irrisolto. Chiunque abbia letto di Leo e Giulio, Beatrice e Margherita, si meraviglierà non poco dinanzi alla nuova scelta di D’Avenia che, per la prima volta, ha deciso di concentrarsi su un tema all’ordine del giorno, che non ha mai smesso di far parlare di sé, che ha provocato e continua a provocare milioni di vittime innocenti. Eppure l’amore, il tema su cui finora D’Avenia ha speso maggior numero di parole, è onnipresente. L’amore di Don Pino per quei bambini che intende strappare dalle mani della strada e al quale vorrebbe donare gli stessi diritti degli altri, l’amore adolescenziale e spontaneo che nasce tra Federico e Lucia, l’amore per quel quartiere che, nonostante tutto, necessita di essere salvato e dal quale non si può andar via, senza prima aver donato la propria razione di amore.

Ancora una volta, il professore proprietario del blog prof 2.0 sceglie come protagonista della sua nuova storia un adolescente che, però, ha poco in comune con il passionale Leo o il misterioso Giulio. Federico è un semplice diciassettenne che per la sua insolita passione per Petrarca e le rime in genere, si è procurato l’appellativo di “poeta” da suo fratello, il quale non toglie mai occasione -seppur involontariamente – di rinfacciargli quanto sia migliore di lui. È  proprio per seguire le orme di suo fratello Manfredi che Federico ha in programma, per quell’estate in cui il suo modo di percepire le cose cambierà radicalmente, una vacanza studio ad Oxford per imparare l’inglese. Tuttavia, quando Don Pino chiede lui di dargli una mano con i bambini del Centro di Accoglienza Padre Nostro, da lui fondato per accogliere tutti i bambini che non vedono minacce, estorsioni e rapine nel proprio futuro e che sperano, un giorno, di andar via di lì, Federico accetta, sottovalutando l’importanza di tale impegno. Un impegno che lo porterà a superare i binari che separano Palermo da Brancaccio, a beccarsi un pugno in piena faccia e a tornare a casa senza bicicletta, ma che allo stesso tempo, gli aprirà gli occhi: sarà l’incontro con un ragazzino pentito che ora si trova nel carcere Malaspina a convincere Federico che non può partire per conoscere la lingua, gli usi e i costumi di un’altra città, senza neppure sapere cosa accade nella sua, perché per quanto il ricordo delle stragi di Capaci e di via d’Amelio sia insito in ogni persona che si riconosca siciliana, quello di Brancaccio resta pur sempre un caso isolato, un quartiere povero che contrasta con la ricchezza di una città colma di storia e cultura come Palermo.

Due aspetti così diversi in un’unica città. È  anche questo lo scopo di “Ciò che inferno non è”: rivelare i segreti e le molteplici facce che cela il luogo natio dello scrittore, permettere al lettore di entrarvi attraverso dettagliate descrizioni e focalizzazioni interne dello stesso Federico, alternate alla terza persona che ben si adatta a descrivere il clima freddo e crudele che si respira quando la scena si sposta temporaneamente sul Cacciatore e Nuccio o Madre Natura e Riccardo. Un linguaggio che si abbandona a detti popolari ed espressioni dialettali che è proprio nello stile dello scrittore palermitano che non smette mai di stupire i suoi lettori, di convidere con quest’ultimi messaggi importanti, perché è attraverso l’elogio e la “reincarnazione letteraria” dell’ormai beato Don Pino Puglisi che Alessandro vuol dare il proprio consiglio, che è tutto racchiuso in una frase di Italo Calvino, tratta da “Città invisibili”:

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

Francesca Barracca

 

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